Quarta domenica di Pasqua anno C (At 13,14.43-52 Sal 99 Ap 7,9.14-17 Gv 10,27-30)
Il valore, potremmo dire l’essenzialità, della parola di Dio nella e per la vita della Chiesa e di ogni persona, emerge in modo chiaro dalle letture di questa domenica: la vita della comunità cristiana non può che fondarsi sulla parola di Dio annunciata, accolta e vissuta.
Il brano degli Atti ci porta nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, dove gli apostoli predicano ai figli di Israele, che in gran parte rifiutano. Questo rifiuto spinge gli apostoli a prendere la decisione di predicare il Vangelo anche ai pagani, aprendo le porte della comunità cristiana al mondo intero.
La visione di apertura al mondo è presente anche dalla seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse. A svolgere il servizio cultuale alla presenza di Dio, ai 144.000 giusti di Israele si aggiunge «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua (Ap 7,9).
Nel brano del vangelo che è stato proclamato, Gesù dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce» (Gv 10,27). L’ascolto della parola di Gesù è il criterio che distingue chi appartiene al gregge e chi non vi appartiene. Ma solo il Signore sa chi lo ascolta veramente e chi lo segue davvero, perché conosce le sue pecore.
Gesù Buon Pastore è attento a ciascuno: ci cerca; ci ama; ci rivolge la sua parola; conosce in profondità i nostri cuori; ci accoglie così come siamo; ci offre la possibilità di vivere una vita piena e senza fine.
Il brano del Vangelo ci mostra quello che Gesù opera: parla, conosce, dà la vita eterna, custodisce. E ci mostra le azioni che siamo chiamati a compiere per corrispondergli: ascoltare la sua voce e seguirlo.
È solo ascoltando la voce del Pastore che ogni pecora trova la propria strada, la propria vocazione, in un contesto comunitario: non l’una uguale all’altra, ma l’una con l’altra, a dare forma al corpo di comunione che intona lo stesso canto nella polifonia delle voci.
Molto esplicativo, in questo senso, è il motto inserito nel proprio stemma dal cardinale Robert Francis Prevost, oggi Leone XIV, riprendendo alcune parole usate da Sant’Agostino nel suo commento al salmo 127: «In Illo unum uno». Nell’unico Cristo siamo uno.
È Gesù a prendere l’iniziativa, a rivolgere a ogni pecora la sua voce: non si limita a trasmettere degli insegnamenti, dei messaggi, delle idee, ma apre una relazione.
Ascoltare non è un’operazione semplice: la voce di Gesù potrebbe venire sommersa dal frastuono che ci circonda; tante altre voci possono rischiare di coprirla.
Ascoltare implica attenzione, desiderio, attesa. Richiede l’atteggiamento di chi è disposto e pronto ad accogliere la voce che lo raggiunge.
In questa dinamica relazionale emerge il verbo conoscere, con tutta la sua valenza biblica, che denota una conoscenza non tanto intellettuale – un sapere – quanto esistenziale. Si tratta della conoscenza reciproca intima e integrale, un conoscere che implica un amare e un appartenersi l’uno all’altro.
Il conoscere biblico non chiama in causa solo la ragione, ma tutto l’essere: mente e cuore, volontà e corpo.
Quando nella nostra vita non c’è gioia significa che manca un vero ascolto della voce del Pastore, anche se r