Don Giovanni Momigli

Omelia domenica 11 febbraio 2024

Sesta domenica del tempo ordinario anno B: Lv 13,1-2.45-46   Sal 31   1Cor 10,31-11,1   Mc 1,40-45

In continuità con quanto ascoltato nel vangelo di domenica scorsa, la liturgia della Parola di oggi affronta il tema della malattia e del dolore, ma con un’ottica tutta particolare, come particolare è la malattia della lebbra.

Il malato di lebbra, oltre ad essere provato dalla malattia fisica, veniva allontanato dalla comunità, esposto all’esclusione sociale, privato della stessa possibilità di coltivare una rete di rapporti affettivi. La lebbra era anche considerata una sorta di punizione, con cui Dio avrebbe castigato un peccatore.

La lebbra, di cui parlano la prima lettura e il vangelo, con il suo significato teologico e il suo linguaggio simbolico, richiama l’impurità, il male morale che si manifesta e incide nella società, nella cultura, spezzando il vincolo dei legami affettivi e di quelli comunitari.

Nei confronti del peccato sociale che si oppone al progetto di Dio sull’umanità, come possono essere la rottura delle relazioni e l’emarginazione, il cristiano è chiamato alla coraggiosa denuncia e cambiare dal di dentro le situazioni, nello stile dell’amore compassionevole di Dio, manifestato in Cristo.

«Venne da Gesù un lebbroso» (Mc 1,40). Di fronte a quest’uomo costretto a vivere ai margini della vita pubblica, sociale, religiosa, relazionale per una malattica che lo porta a vivere come uno “scarto umano”, Gesù «ne ebbe compassione» (Mc 1,41) o, come tramandano altri codici che riportano questo brano, «si arrabbia» e lo libera da quella condizione.

L’attuale traduzione, sii purificato, sembra meno efficace di quella precedente che usa un verbo che evoca direttamente il risanamento, “sii guarito”, ma la traduzione attuale ci fa meglio entrare dentro l’azione di Gesù.

Per cogliere la novità radicale costituita dal comportamento di Gesù, basta leggere il brano del Levitico che in questa domenica ci viene presentato come prima lettura: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale (…) sarà impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento» (Lv 13,2.46).

È in questo contesto religioso e culturale che risuona la richiesta timida e coraggiosa del lebbroso nel quale si imbatte Gesù, che non grida contro per spingerlo ad allontanarsi, ma, al contrario, gli si avvicina e lo supplica in ginocchio: «Se vuoi, puoi purificarmi» (Mc 1, 40). Ed è tenendo presente questo contesto che il conseguente comportamento di Gesù appare in tutta la sua grandezza e in tutta la sua forza rivoluzionaria.

La compassione spinge Gesù a compiere dei gesti proibiti dalla legge ebraica: «tese la mano, lo toccò» (Mc 1,41). Gesù cerca il contatto perché vuole entrare in relazione con quest’uomo, vuole dimostrargli l’amore e la tenerezza di Dio verso di lui.

Non si manifesta certamente l’amore tenendosi “a distanza di sicurezza”. E allora Gesù infrange le prescrizioni per far percepire al lebbroso una bontà che libera e strappa al potere di qualsiasi male. È proprio attraverso questa “relazione” che gli viene tolta l’impurità e viene restituito a una nuova possibilità di “relazioni”.

Come ricorda Papa Francesco per la Giornata del malato che si celebra oggi, festa della Madonna di Lourdes, «Non è bene che l’uomo sia solo». Curare il malato curando le relazioni.

Di fronte alla prossimità vissuta da Gesù le norme rituali rivelano tutta la loro inadeguatezza, mentre la condivisione della situazione del malato diventa il primo passo per arrivare a trasmettergli la forza che lo guarisce.

Gesù restituisce quest’uomo a sé stesso e alla società che lo aveva emarginato e lo invia dai sacerdoti, perché possano decretarne la guarigione e rimetterlo in comunione.

Gesù, però, ammonisce severamente l’uomo: «Guarda di non dire niente a nessuno» (Mc 1,44), forse per evitare il fraintendimento sul senso vero del suo agire. Ma l’uomo non ne è capace di tenere segreto quanto avvenuto. La fama di Gesù si diffonde e lui «non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti» (Mc 1,45).

Quella del lebbroso, forse, non sarà ancora pura fede, ma rappresenta comunque un grido che guida altri, e anche ciascuno di noi, verso Gesù, per dare inizio a una vita nuova di relazione e di appartenenza comunitaria.

Don Momigli

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