Don Giovanni Momigli

Omelia domenica 10 novembre 2024

Trentaduesima domenica Tempo Ordinario Anno B (1Re 17,10-16   Sal 145   Eb 9,24-28   Mc 12,38-44)

La prima lettura e il brano del vangelo ci presentano la figura di due vedove che affidano a Dio il poco che hanno per il loro sostentamento.

Il Libro dei Re racconta di una vedova che si affida alla parola annunciata dal profeta Elia, condividendo con lui quel poco che le resta per la sopravvivenza sua e di suo figlio: «solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio» (1Re 17,12).

Elia aveva fondato la sua richiesta sulla parola di Dio, chiedendo alla donna piena fiducia: «La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra»» (1 Re 17,14).

La vedova di cui parla il Vangelo, invece, è una donna povera che getta nel tesoro del tempio solo «due monetine» (Mc 12,42), che sono tutto quello che possiede.

Il brano rileva un contrasto tra questa vedova e gli scribi, che desiderano riconoscimenti ed elogi, pregano molto, ma non hanno una vera relazione con Dio, tanto che approfittano della loro condizione arrivando a divorare «le case delle vedove» (Mc 12,40).

Gesù, «seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete» (Mc 12,41). Le offerte nel Tempio venivano annunciate, in una sorta di processione, durante la quale veniva proclamato ad alta voce il valore dell’offerta.

Per i più ricchi era un modo per essere visti, un modo per ostentare la propria ricchezza: molti strumentalizzavano la relazione con Dio per attirare l’attenzione su sé stessi.

La povera vedova non si preoccupa di poter suscitare l’ironia e il giudizio degli altri, sentendo il valore esiguo della sua offerta. I suoi spiccioli fanno poco rumore a differenza delle molte monete messe dai benestanti, ma di fronte a Dio sono molto più consistenti delle abbondanti contribuzioni fatte dai ricchi, che dannò del loro superfluo.

Vedendo il gesto della vedova, Gesù, «chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «”In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”» (Mc 12,43-44).

Per l’evangelista Marco questa è l’ultima volta in cui Gesù mette piede nel Tempio, tra poco inizierà la sua passione. Possiamo immaginare che osservando questa donna, Gesù abbia pensato a quello che lui sta per compiere: sulla croce dona sé stesso fino in fondo.

Della vedova di cui parla il Primo libro dei Re sappiamo che la sua fiducia non va delusa: «la farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì» (1 Re 17,16).

Della vedova elogiata da Gesù non conosciamo cosa le sia successo dopo essere tornata a casa, visto che aveva gettato nel tesoro tutto quello che aveva per vivere, ma di certo sappiamo che si è fidata di Dio mettendo nelle sue mani la propria vita.

Queste due vedove avrebbero potuto rimanere attaccate a quel poco che avevano e reggere fino a quando sarebbe stato loro possibile, nella speranza che qualcosa potesse cambiare, Ma scelgono di fidarsi di Dio e di consegnarsi totalmente a lui.

Queste due donne rappresentano il modello di coloro che sanno giocarsi fino in fondo nelle relazioni, e in modo speciale nella relazione con Dio, senza trattenere nulla per sé.

Per il suo insegnamento Gesù prende sempre immagini umili prese della quotidianità: il suo sguardo sa cogliere i dettagli, perché è lo sguardo di chi ama.

Se si osserva la realtà che ci circonda con gli occhi della fede potremo scorgere che nelle quotidianità della vita il Vangelo diventa realtà in molte situazioni, nonostante che a prima vista sia visibile solo il male.

Ascoltare Gesù e fidarsi di lui riempie di amore e rende il nostro sguardo capace di vedere i germogli che spuntano anche nella terra arida, rendendoci “pellegrini di speranza”, testimoni e strumenti dell’amore di Dio in azione.

Don Momigli

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