Don Giovanni Momigli

Omelia domenica 1° giugno 2025

Ascensione del Signore anno C (At 1,1-11   Sal 46   Eb 9,24-28;10,19-23   Lc 24,46-53)

La solennità dell’Ascensione non celebra la giustificazione di una assenza, ma la forza di una presenza. Non suscita la tristezza di un abbandono, ma l’energia di un cammino e l’attesa di un ritorno.

La liturgia di questa festa ci aiuta a vivere proprio nella logica di quella presenza che ha la forza di determinare un modo di vivere.

Il mistero pasquale si compie aprendo le vie di un nuovo cammino in cui si manifesta la potenza del Cristo nella vita della chiesa.

Il Risorto è la fonte permanente della missione della Chiesa. Nell’atto stesso della testimonianza suscitata dallo Spirito Santo è il Signore a rendersi presente. L’atteggiamento della comunità esprime la forza di una presenza e non il dramma di un’assenza. E tale presenza diventa espressione di una identità, di una vocazione, di una destinazione.

Matteo e Giovanni non parlano dell’ascensione del Signore: terminano il loro racconto con le apparizioni di Gesù dopo la Resurrezione. Marco accenna all’ascensione nella penultima frase del suo scritto: «Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio» (Mc 16,19).

Luca, invece, ne parla in modo ampio, soprattutto nel libro degli Atti, precisando che quaranta giorni dopo la Pasqua – numero altamente simbolico in tutta la Bibbia – Gesù conduce gli apostoli verso Betania e arrivato sul Monte degli Ulivi li benedice e parla loro prima di salire al cielo e fare ritorno al Padre.

In questo discorso Gesù conferma la promessa della discesa dello Spirito che non li lascerà soli e prefigura la sua seconda venuta, alla fine dei tempi.

La missione della Chiesa non nasce da iniziativa umana, ma è opera di Dio, è frutto dello Spirito che gli apostoli ricevono a Pentecoste, diventando testimoni del Signore risorto.

Nella prospettiva dell’evangelista Luca, l’Ascensione dice che Gesù, dopo la sua risurrezione, è adesso nel mondo di Dio: «Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo» (Lc 24,51); «fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (At 1,9).

Con delle immagini, Luca tenta di comunicare a parole un’esperienza forte vissuta dai discepoli: Gesù, che avevano seguito, visto morire e incontrato dopo la sua risurrezione, entra nel mondo di Dio.

Gesù, il crocifisso, è vivo, è con il Padre ed è sempre con noi. I cristiani sono rivolti verso il cielo, ma sono anche fedeli alla terra.

Luca, sia nel vangelo che negli Atti, ripete la convinzione profonda che il compito delle comunità cristiana è prima di tutto quello di testimoniare la persona di Gesù Cristo, morto e risorto.

La tentazione sempre presente, tuttavia, è quella di puntare tutto sull’etica. Ci sono certamente questioni etiche urgenti, come la pace, l’ambiente, la difesa della vita, i drammi dell’aborto e dell’eutanasia, la crisi della famiglia e altro ancora.

Tuttavia, qualunque valore la comunità cristiana voglia annunciare e difendere, deve partire mettendo al centro del suo messaggio e della sua testimonianza la persona di Gesù.

L’Ascensione ci dice anche chiaramente che nessuno, neppure la Chiesa, possiede Gesù. Gesù lo si può solo annunciare, proclamando e testimoniando la sua parola, la sua presenza nel creato, nella storia e nella stessa comunità cristiana, specialmente nei sacramenti.

L’artefice della multiforme testimonianza che la Chiesa e ogni battezzato rendono nel mondo è lo Spirito Santo. Ecco perché non possiamo mai trascurare di lodare Dio e di invocare il dono dello Spirito.

In questa settimana, che ci porta alla festa di Pentecoste, uniamoci spiritualmente agli apostoli e a Maria che, nel Cenacolo sono in preghiera per accogliere lo Spirito Santo.

Don Momigli

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