Don Giovanni Momigli

Omelia di ingresso nella Parrocchia di San Donnino a Campi 11 ottobre 1991

Fratelli e Sorelle,

mi presento a Voi come nuovo Parroco facendo mie – tradotte al presente – le parole che l’apostolo Paolo scrive ai cristiani di Corinto: “Vengo in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basano su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non sia fondata sulla sapienza umana, ma sulla sapienza di Dio” (1 Cor. 2,3-5).

Questa mia venuta fra voi è accompagnata da non poche perplessità, da tensioni di vario tipo, da nostalgie e aspettative di segno diverso. Ma io vengo in mezzo a voi senza sapere altro “se non Gesù Cristo e questi crocifisso” (1 Cor. 2,2), poiché solo in Gesù Cristo è “rivelato il mistero del Padre e del suo Amore” e “trova luce il mistero dell’uomo” (G. S. n.22).

È per amore e per la salvezza dell’uomo che il Verbo si è fatto carne e ha donato la sua vita.

È per la salvezza dell’uomo che la Chiesa esiste e con amore deve sempre guardare

all’uomo, centro della sua missione.

Però, come ricorda Giovanni Paolo II nella “Centesimus Annus”, “non si tratta dell’uomo astratto, ma dell’uomo reale, concreto e storico: si tratta di ciascun uomo, perché ciascuno è stato compreso nel mistero della redenzione e con ciascuno Cristo si è unito per sempre attraverso questo mistero” (n.53).

Anche noi, comunità cristiana di San Donnino, siamo chiamati a servire l’uomo, nella sua integrità, nella sua concretezza.

Siamo innanzitutto chiamati a verificare, alla luce della Rivelazione, quale immagine di uomo viene di fatto trasmessa e servita nelle e dalle nostre famiglie, nella e dalla nostra comunità.

Nell’analizzare situazioni, nel giudicare proposte, nell’esprimere pareri, dobbiamo sempre chiederci quali riflessi – diretti o indiretti, positivi o negativi – la tal situazione o la tal proposta ha o può avere sull’uomo, sulla dignità e sulla qualità della vita dell’uomo, di qualsiasi uomo.

I problemi che incontriamo nel nostro cammino, come comunità e come singoli cittadini, vanno affrontati per quello che realmente sono, sia nella loro componente oggettiva che in quella soggettiva, senza minimizzazioni né esasperazioni più o meno interessate e strumentali.

Questo vuol dire, ad esempio, che dobbiamo impegnarci per la rigorosa applicazione di leggi, norme e regolamenti e per un loro adeguamento quando, in una specifica e concreta situazione, non sembra tutelino a sufficienza l’uomo. Ciò che deve sempre guidarci, anche nel gestire leggi e strutture, è l’amore per l’uomo e la ricerca della migliore equità possibile.

Ricordando, come fanno i Vescovi negli Orientamenti Pastorali per gli anni ’90, che “la carità autentica contiene in sé l’esigenza della giustizia: si traduce pertanto in un’appassionata difesa dei diritti di ciascuno. Ma non si limita a questo, perché è chiamata a vivificare la giustizia, immettendo un’impronta di gratuità e di rapporto interpersonale nelle varie relazioni tutelate dal diritto” (E.t.C. n.38).

Per poter servire positivamente e concretamente l’uomo, come comunità e come singoli, è però necessario riferirsi costantemente a Cristo, essendo Lui la verità dell’uomo.

Riferirsi a Cristo non è rifugiarsi in un intimismo disincarnato, ma assumere concretamente la complessità nella quale ci troviamo a vivere e ad operare, avendo “sicura coscienza che il Vangelo è il più potente e radicale agente di trasformazione della storia, non in contraddizione, ma proprio grazie alla dimensione spirituale e trascendente in cui è radicato e verso cui orienta” (E.t.C.n.38).

Riferirsi a Cristo significa lasciarsi istruire da Lui ed aprire il cuore e la mente alla logica di Dio, logica che chiede di gettare via le vecchie abitudini e i vecchi rancori per costruire una

comunità senza lotte e discordie, anche se viva perché costituita da persone diverse, che hanno storie, sensibilità e mentalità diverse.

Per costruire la comunità dobbiamo tendere alla comunione e per tendere alla comunione è necessario il dialogo. Un dialogo certamente franco, ma anche rispettoso delle posizioni degli altri, soprattutto rispettoso delle persone.

La persona ha una dignità e un valore ben più grande delle sue idee e dei suoi singoli comportamenti!

È quindi doveroso uno sforzo per cercare di comprendere le motivazioni degli altri. Motivazioni che possiamo non condividere, che possiamo anche osteggiare –sempre nel rispetto della persona -, ma che non dobbiamo mai rinunciare a capire.

Non dobbiamo però dimenticare che la comunione è dono dello Spirito. Come affermano i Vescovi in “Comunione e Comunità”: “Come ogni dono dello Spirito, la comunione genera nella Chiesa doveri e impegni e diventa programma di vita cristiana. Per il dono della comunione dobbiamo vivere nella carità e costruire noi quell’unità in cui Gesù ha individuato la condizione perché il mondo possa credere nel suo messaggio. Però una cosa è il dono di Dio e un’altra cosa è il nostro impegno: solo il dono di Dio rende possibile l’impegno e sempre lo sovrasta” (n.14). La mancanza di un concreto impegno in tal senso rende quindi manifesto che vi è un cuore chiuso alla conversione, chiuso all’accoglienza del dono dello Spirito.

L’impegno richiesto è quello necessario per percorrere con serietà ed umiltà il cammino della sequela di Cristo. Cammino che presuppone: la consapevolezza del punto di partenza, cioè della propria situazione personale e comunitaria; la chiarezza della meta, cioè la piena realizzazione dell’uomo in Cristo nella piena comunione con Dio e con i fratelli.

L’individuazione di un itinerario, insieme personale e comunitario, in grado di trasformarci da nomadi, in un cammino senza meta, in pellegrini, in cammino verso una meta ben precisa.

Per percorrere questo cammino è necessario il coraggio e la creatività, una forte disponibilità alla preghiera, un grosso impegno formativo che coinvolga le tre dimensioni della vita cristiana -fede, speranza, carità-in un’interazione continua.

Come ogni itinerario, anche quello che siamo chiamati a percorrere come comunità parrocchiale, nell’ambito del cammino della nostra chiesa diocesana, è soggetto a stanchezze, deviazioni, cadute. Non ci si deve scoraggiare per questo: la misericordia di Dio ci aiuterà a riprendere il cammino nella giusta direzione. Ci si deve preoccupare invece quando non si chiamano le cose con il loro nome: la deviazione è deviazione e non può essere identificata con l’itinerario; la sosta è sosta, ma non è la staticità la caratteristica del cammino.

Per questo, alle molte cose che si possono fare vanno preferite quelle fatte in profondità, puntando con maggiore incisività sulla formazione.

In questa ottica le varie iniziative, le varie attività presenti in parrocchia, o che possono

essere avviate – sia di carattere ricreativo, culturale, caritativo o anche più direttamente religioso -, debbono essere finalizzate, o almeno contribuire alla formazione umana e cristiana in spirito di servizio e di comunione.

Se qualche attività, invece, non contribuisse alla formazione e alla edificazione della comunità nella comunione o, addirittura, fosse di inciampo e non potesse essere neanche radicalmente riformata, andrebbe preso alla lettera il “consiglio” che Gesù dà per casi di questo genere: “Se la tua mano ti scandalizza, tagliala…Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo…se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo (o con un sol piede o una sola mano) che essere gettato nella geenna” (Mc 9,43-47).

È meglio per noi, comunità di San Donnino, accogliere la logica del Regno di Dio con meno attività, che avere molte iniziative ma farsi assorbire dalla logica del mondo.

Questo nostro primo ritrovarsi insieme avviene attorno all’altare del Signore per celebrare l’Eucaristia che è “fonte e culmine di tutta la vita cristiana” (LG n.11b), che è “segno di unità e vincolo di carità” (SC n.47). con altre parole si potrebbe dire che l’Eucaristia è la fonte e il culmine della condivisione, della solidarietà. “L’Eucaristia, giudica dunque ogni spirito ed ogni comportamento di divisione e di chiusura egoistica” come ci ricordano i Vescovi (E.t.C.n.19).

Giudica me, parroco, ogni volta che nel mio operare presterò più attenzione a tizio o a caio che a Gesù Cristo; ogni volta che nei fatti abdicherò al mio essere pastore limitandomi a fare il funzionario; ogni volta che non vi ascolterò con disponibilità e spirito di discernimento.

Giudica ogni membro della comunità celebrante ogni volta che strumentalmente o per spirito di rivalsa rompe la comunione; ogni volta che manca di fare la “verità nella carità” (Ef. 4,15); ogni volta che opererà senza farsi guidare dalla “luce del Vangelo e dall’umana esperienza” (GS. N.46).

Con questa celebrazione eucaristica iniziamo un capitolo nuovo caratterizzato dalla collaborazione e dalla fraternità, per la ricchezza e la crescita di tutti e di ciascuno.

In questa festa di San Donnino, patrono della nostra comunità parrocchiale, facciamo nostre, nella preghiera e nei propositi, le parole dell’apostolo Paolo: “Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con armi di sincerità e di verità” (1Cor. 5.8).

Lo Spirito Santo che ci ha chiamati a camminare insieme illumini le nostre menti e scaldi i nostri cuori, affinché possiamo rispondere all’amore di Dio con l’amore per i fratelli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Don Momigli

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