Sesta domenica di Pasqua anno C (At 15,1-2.22-29 Sal 66 Ap 21,10-14.22-23 Gv 14,23-29)
Nella vita non dobbiamo preoccuparci quando emergono divergenze e punti di vista differenti, ma quando tutto sembra uniforme. Se non emergono opinioni differenti, suggerimenti o critiche, significa che ci troviamo in una situazione innaturale che deve destare sospetti e preoccupare.
L’esperienza ci dice che, in ambito ecclesiale come in ambito sociale e politico, i problemi profondi si verificano proprio in quelle situazioni in cui tutto appare omogeneo. Senza contare che, in genere, chi detiene il potere cerca di mettere a tacere le voci di dissenso o di nasconderle sotto un apparente consenso.
Le letture di questa domenica, invece, sembrano suggerire che l’azione dello Spirito si esprime proprio quando c’è possibilità di confronto e di dialogo.
Le divergenze hanno rappresentato una tappa fondamentale nella vita della prima comunità cristiana. Proprio attraverso la discussione, anche accesa, è stato possibile discernere gli impulsi dello Spirito Santo, come testimonia il cosiddetto Concilio di Gerusalemme dove si confrontano aspramente visioni divergenti che consentono di arrivare a una posizione comune, proprio lasciando parlare lo Spirito.
Nella Chiesa, ad ogni livello, è necessario creare spazi di incontro e dialogo, per ascoltare insieme lo Spirito che parla proprio attraverso il confronto rispettoso ma franco.
Senza apertura allo Spirito non possiamo vivere da discepoli del Signore, come emerge dal discorso che Gesù ha rivolto agli Apostoli nell’Ultima Cena: «Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).
Nella lingua originale greca, “Paraclito” sta a significare colui che si pone accanto, per sostenere e consolare. Gesù ritorna al Padre, ma continua a istruire e animare i suoi discepoli mediante l’azione dello Spirito Santo.
Il termine Paraclito rimanda anche al difensore, una specie di avvocato che ci difende anche quando siamo colpevoli di fronte a Dio. Lo Spirito è Dio stesso che non ci accusa, non punta il dito, non ci fa sentire in colpa, ma ci apre alla misericordia.
Il Signore ci invita ad aprire il cuore al dono dello Spirito, per lasciarci guidare da lui nei sentieri della storia, che, giorno per giorno, ci educa alla logica del Vangelo, la logica dell’amore accogliente, insegnandoci ogni cosa e ricordandoci tutto ciò che il Signore ci ha detto.
Questo ricordare non è il semplice tenere a mente, ma un’azione ben più profonda. Potremmo dire che è la capacità di fare di tutto l’insegnamento di Gesù e del nostro stesso passato una costruzione solida su cui costruire il futuro.
Non c’è un Vangelo dello Spirito, ma solo quello di Gesù Cristo. Il compito dello Spirito Santo è far ricordare, comprendere e attualizzare nel nostro oggi l’insegnamento di Gesù, per poterlo concretamente vivere.
Insegnare e fare memoria è anche la missione della Chiesa, che la realizza attraverso la fede nel Signore e l’osservanza della sua Parola; la docilità all’azione dello Spirito, che rende continuamente vivo e presente il Signore Risorto; l’accoglienza della sua pace e la testimonianza vissuta in un atteggiamento di apertura e di incontro con l’altro.
Come scriveva papa Francesco in Evangelii gaudium, nel cristiano «La gioia evangelizzatrice brilla sempre sullo sfondo della memoria grata: è una grazia che abbiamo bisogno di chiedere» (E.G., 13).
Accogliere l’insegnamento dello Spirito significa aprirsi a una relazione d’amore che dà senso a tutta la nostra vita: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Tutto il Vangelo di Giovanni ci dice che essere discepoli di Gesù, essere cristiani, è prima di tutto una questione d’amore. È accettando l’amore che questo stesso amore si trasforma in una scelta di vita.