Veglia di Pasqua anno B: Marco 16,1-8.
Gesù è risorto. Questa verità di fede che abbiamo solennemente annunciato in questa santissima notte, non è una verità accanto alle altre, ma il centro e la base di tutto. Senza fede nella risurrezione di Cristo crolla tutto il cristianesimo, come un edificio senza fondamenta.
La fede è un’esperienza che coinvolge la persona intera: non può essere teorica né puramente emozionale. E, nonostante sia personale, non può essere soggettiva: esige di essere vissuta comunitariamente.
La fede in Cristo e nella sua risurrezione, infatti, supera ogni intimismo individualistico, divenendo condivisione e comunione, come chiaramente scrive l’apostolo Giovanni: «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo» (1 Gv 1,3).
La comunione con Dio data dall’avvenimento Gesù Cristo è interpersonale, relazionale, comunitaria. La fede nella risurrezione ci fa alzare lo sguardo e ci mette in movimento aperti alla novità di Dio.
La fede nella risurrezione parte dalla pietra rotolata del sepolcro di Gesù, dallo spalancare le porte del nostro cuore alla speranza, facendo rotolare la pietra della paura che spesso usiamo per sigillare la nostra vita rendendola simile a un sepolcro.
Quando non teniamo lo sguardo basso, per evitare di incrociare quello dell’altro che può metterci in discussione e anche inquietarci, generalmente il nostro è uno sguardo orizzontale, anche ricco di analisi, ma povero di speranza, perché rivolto solo al verificabile e al presente.
Alzare lo sguardo significa guardare al mistero della vita e oltre questa vita, ma significa pure avere il coraggio di guardarci dentro, come persone e come comunità.
Le tentazioni che abbiamo come persone, e che rischiano di renderci sterili, sono le stesse che caratterizzano il nostro essere comunità: individualismo, chiusura, staticità.
Abbiamo iniziato il Triduo Pasquale collocandoci liturgicamente nel Cenacolo. Per essere comunità cristiana dal Cenacolo non si può prescindere.
Nel Cenacolo Gesù ha istituito l’Eucaristia e il ministero sacerdotale, ha lavato i piedi ai suoi discepoli e ha dato il comandamento dell’amore. Nel cenacolo il Risorto è apparso agli apostoli. E nel Cenacolo è disceso lo Spirito nel giorno di Pentecoste, mentre Maria e gli apostoli erano in preghiera.
Il pensiero di una Chiesa che rimane raccolta nel Cenacolo è certamente affascinante, ma dal Cenacolo è anche necessario uscire, per seguire Gesù dove ci conduce e per cercare di comprendere il significato nascosto dei segni della sua presenza nel mondo, come hanno fatto le donne il mattino di Pasqua, scoprendo che Gesù non è dove pensavano che fosse: «il crocifisso. è risorto, non è qui» (Mc 16,6).
Dal Cenacolo sono usciti anche gli apostoli dopo la discesa dello Spirito, per proclamare l’annuncio di vita e di salvezza, cominciando con le persone presenti a Gerusalemme per poi estendersi al mondo intero.
La prima testimonianza da cui parte l’annuncio della Pasqua è quella delle donne ed è fatta di buio, lacrime, smarrimento.
Buio, lacrime, smarrimento caratterizzano anche questo nostro mondo, fortemente segnato da ingiustizie, disuguaglianze e guerre che producono sofferenza, morte, odio. Buio, lacrime, smarrimento conseguenza della mancanza di punti di riferimento e di prospettive, dell’aumento della paura, della solitudine e dell’infelicità.
Ma è proprio in questo nostro mondo, che sembra lontano, addirittura opposto, dalla Pasqua di Cristo, siamo chiamati a intercettare i segni della risurrezione e a trasmettere speranza.
Essere persone di speranza non significa essere capaci di liberare il mondo da ogni male, ma evitare che le persone vengano sopraffatte dalla disperazione. Essere persone di speranza significa penetrare il dolore e la sofferenza delle persone, delle famiglie, dei popoli per far crescere i semi della risurrezione, seminati da Cristo Risorto.
Il brano del Vangelo di Marco che abbiamo ascoltato questa notte ci dice che per tutti, singole persone e comunità, sono necessari quattro atteggiamenti: uscire, guardare, ascoltare, muoversi.
Le donne escono per andare al sepolcro, luogo della morte, per fare quello che umanamente è possibile: onorare il corpo del Signore. Guardano i segni di morte, ma il corpo di Gesù non c’è più. Ascoltano il giovane in vesti bianche che annuncia loro quello che Gesù aveva già detto e cambiano la loro prospettiva. Si muovono per condividere l’esperienza e per raggiungere Gesù insieme agli altri discepoli dove li aspetta: «andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”» (Mc 16,6-7).
Uscire. Guardare. Ascoltare. Condividere. Quattro atteggiamenti indispensabili per educare il cuore e la mente allo sguardo che Dio ha su di noi, sulla nostra comunità e sul mondo. Quattro atteggiamenti indispensabili per incontrare il Risorto e lascioarsi rinnovare dalla forza della Pasqua.