Mercoledì terza settimana di Quaresima: Dt 4,1.5-9 Sal 147 Mt 5,17-19
Al centro delle letture di oggi c’è la legge, donata da Dio al suo popolo e portata da Gesù alla perfezione.
Quando si parla di legge, pur necessaria per regolare la convivenza, subito il pensiero corre a un insieme di regole che limitano, che frenano la nostra libertà. Il fine della legge che Dio ha donato al suo popolo non è affatto questo, ma piuttosto il suo contrario: la legge è data a un popolo liberato perché possa rimanere libero.
Gesù rappresenta la chiave di volta e la pienezza di tutta la Rivelazione del mistero di Dio: è il Verbo che si è fatto uomo, venuto ad abitare in mezzo a noi (cf. Gv 1,14), per farci conoscere Dio e il suo amore e per far conoscere noi a noi stessi.
«Non sono venuto ad abolire la Legge o i Profeti… ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17). Queste parole esprimono una certa tensione tra continuità e rottura e il rispetto di Gesù verso l’appello che contengono le parole dei profeti e della legge per le donne e gli uomini di ogni tempo.
La legge è buona, indica il cammino per la vita ed aiuta a verificare e evidenziare i nostri errori. La legge in sé stessa, però, non va assolutizzata: non è la legge che dà la vita.
Gesù ci libera dalla schiavitù della legge, ma non dalla legge: «Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli» (Mt 5,19).
Osservare anche i minimi precetti non significa sottomettersi a una scrupolosa osservanza della legge, ma non sottovalutare nulla, andando alla radice della Legge, al perché di quei precetti e rispondervi non formalmente, bensì con l’intenzione della mente e del cuore.
Per cogliere la portata dei precetti, anche minimi – come dei piccoli gesti e delle piccole scelte della nostra esistenza quotidiana – non vanno misurati sé stessi, ma collocati all’interno dell’orizzonte della nostra vita e di quello a cui il Signore ci chiama.
La legge è a servizio di un disegno più grande. Per questo ogni precetto rivela il suo pieno significato solo quando viene collocato nell’orizzonte di una vita vissuta come relazione con Dio, come risposta al suo amore.
Il cammino quaresimale, ad esempio, non può essere ridotto a una serie di mortificazioni fini a sé stesse. Si tratta, piuttosto, di un processo di conversione, che si inserisce in quel «pieno compimento» (Mt 5,17) di cui parla Gesù.
Alla luce dell’insegnamento di Gesù e partendo dal comandamento dell’amore, possiamo aprirci all’azione dello Spirito, che dona la sapienza per collocare la legge nell’ottica in cui Dio l’ha donata, per vivere accogliendo l’amore di Dio e per rispondervi.
Va anche tenuto conto che la vita è pienamente vissuta se sappiamo generosamente condividerla, se la spendiamo in un orizzonte generativo, di futuro.
Per essere positivamente orientati al futuro, la parola del Deuteronomio cerca di arginare in tutti i modi il morbo della dimenticanza, che mette in pericolo il nostro cammino di fede, rischiando di paralizzare fino ad uccidere la vita di relazione con Dio, con sé stessi e con gli altri: «guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita: le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli» (Dt 4,9).
Non dimenticare non significa rimanere immobili, con lo sguardo rivolto agli schemi e alle parole del passato, anche se per noi possono essere stati determinanti. Ma significa aprirsi al futuro per dare a quelle parole la necessaria declinazione nell’oggi della vita personale e comunitaria.
Rimanere alle parole del passato per certi aspetti dà sicurezza. Cercare di riformularle per l’oggi, invece, nell’immediato può generare disorientamento o un eccesso di zelo. Col tempo, però, si raccolgono i frutti. Se tutto è fatto con amore e con la fiducia che è il Signore che ci guida.
L’amore non si può circoscrivere all’osservanza della legge, anche se un amore senza legge difficilmente dura. Il vero amore presuppone la volontà: ti amo e voglio amarti.
Per essere discepoli di Cristo siamo chiamati, non a rimanere immobili nell’osservanza rigorosa di una serie di precetti, ma a mettersi al suo seguito, a seguirlo passo passo, con amore, ascoltando la sua parola e cercando di viverla quotidianamente nella propria vita personale e sociale.