Mercoledì Ottava di Pasqua (At 3,1-10 Sal 104 Lc 24,13-35)
L’autore del libro degli Atti pone la guarigione di un paralitico, che chiede l’elemosina davanti alla porta del Tempio detta Bella, subito dopo l’evento della Pentecoste e dopo aver descritto le caratteristiche della prima comunità cristiana: «erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42).
La guarigione è compiuta «nel nome di Gesù, il Nazareno» (At 3,6) da coloro ai quali Gesù aveva dato l’autorità di operare i suoi stessi segni, inviandoli due a due: «Convocò i Dodici e diede loro autorità su tutti i demoni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi» (Lc 9,1-2)
Questo racconto, nella sua semplicità, mi pare offra interessanti spunti di riflessione per il nostro essere Chiesa.
Soggetto della missione e dell’azione è la comunità. Benché Pietro svolga un ruolo preminente e autorevole, l’autore del libro degli Atti lo descrive mentre agisce in unità con Giovanni, arrivando perfino a forzare parole e immagini: «Pietro insieme a Giovanni disse: “Guarda verso di noi”» (At 3,4).
L’adesione a Cristo è personale, ma nessuna persona, neppure la più carismatica, è legittimata ad annunciare e operare per la comunità, senza essere in qualche modo inserita in un contesto comunitario e senza il mandato della comunità.
La guarigione del paralitico avviene mentre Pietro e Giovanni stanno salendo alle tre del pomeriggio per la preghiera. Si tratta della missione che nasce dell’ordinario incontro nei luoghi in cui si vive, si lavora, ci si muove e si prega.
In seguito lo stesso libro degli Atti racconterà di missioni organizzate e dei grandi viaggi missionari, ma questa forma di missione iniziale, nella quotidianità, mi pare che oggi sia particolarmente urgente e necessaria.
L’annuncio nasce dal coraggio di osare un incontro; dal coraggio di guardare e di toccare. Pietro fissa lo sguardo in quello dell’uomo, lo guarda in volto: vede la sua sofferenza e si lascia interpellare, fino a prendere per mano l’uomo storpio per aiutarlo a rialzarsi.
L’annuncio va all’essenziale: il nome del Signore Gesù. Un nome che spesso seppelliamo sotto tante parole che non dicono niente e che occultiamo dietro un sistema filosofico o un programma etico.
Il nome di Gesù Cristo, il Nazareno, risana il corpo e lo spirito. Gesù risorto rigenera, dà vigore, apre gli orizzonti, incoraggia a vivere, ridona speranza, come appare chiaro dal brano del vangelo.
Il famoso racconto dei discepoli che tornano a Emmaus nella domenica della Risurrezione, ci presenta due uomini addolorati, tristi, ormai senza speranza. Anche il dolore e l’abbattimento vengono vissuti e presentati nella loro dimensione comunitaria.
«Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele» (Lc 24,21). I due di Emmaus confessano di aver creduto in Gesù come liberatore politico.
Questa confessione descrive la tentazione perenne di raffigurare Cristo a propria immagine e somiglianza, di proiettare su di lui i propri desideri e i propri progetti tutti umani, svuotandolo della sua specifica identità divina e rendendolo un idolo.
La spiegazione delle Scritture da parte di Gesù risorto, che ancora non riescono a riconoscere, porta gradualmente i due a vedere in maniera rinnovata sé stessi, il loro rapporto con la comunità, con la storia e a rivedere la loro stessa relazione con il Signore.
Lo riconobbero «quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 24,30), ma non lo avrebbero riconosciuto se il Signore risorto non si fosse messo al loro fianco, non avesse ascoltato il loro dolore e non avesse spiegato loro le scritture: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,32).
L’esperienza dei due di Emmaus è quella di ciascuno di noi: Gesù cammina al nostro fianco; lo Spirito Santo agisce in chi proclama le scritture e in chi ascolta.
L’esperienza di questi due discepoli è necessariamente personale, ma assume rilevanza comunitaria. Non solo perché sono in due, come Pietro e Giovanni, ma anche perché, una volta riconosciuto Gesù, subito ripartono per condividere con gli altri quanto da loro vissuto, ricevendo a loro volta la testimonianza della comunità: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!» (Lc 24,34).