Don Giovanni Momigli

Omelia Badia Fiorentina mercoledì 25 ottobre 2023

Mercoledì della XXIX Settimana tempo ordinario – anno dispari: Rm 6,12-18   Sal 123   Lc 12,39-48

Mi pare che il senso delle letture di oggi possa essere condensato in solo concetto, in una sola realtà: rimane umani. Per farlo, però, occorre mettere profondamente in discussione l’antropologia dominante, individualista, essenzialmente egoista, che considera l’altro innanzitutto come una minaccia o come uno strumento per la propria immediata convenienza.

L’ideologia dell’individualismo assoluto – del sovranismo individualistico – unita a consumismo esasperato e mercificante, soffoca la costitutiva e indispensabile dimensione relazionale della persona, portandola alla rovina.

Tutto si gioca sul senso e sulla pratica della libertà. La libertà è la grande aspirazione di ogni essere umano e anche il compito che Dio ha affidato a ciascuno.

La grazia ci viene data proprio per liberare la nostra libertà. E la libertà si libera nella relazione, con Dio, con gli altri , con le cose e anche con sé stessi.

Fuori dalla dimensione relazionale la libertà perde la sua vera essenza e, come sta accadendo anche in questa nostra società dove si tenta di affermare la propria libertà sopra tutto e tutti, si finisce nella più avvilente dipendenza agli impulsi meno nobili dell’ego.

Paolo, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, ci mette in guardia dalla schiavitù del peccato, che è schiavitù del presente, di sé stessi e delle cose, e ci rende «strumenti di ingiustizia» (Rm 6,13). E ci ricorda che l’unica garanzia della nostra libertà è lasciarsi conquistare dall’amore di Dio.

Sperimentando di essere amati e di essere per l’amore siamo resi signori di noi stessi e scopriamo che è nel nostro modo di concepire e di vivere la libertà che definiamo il nostro volto e coltiviamo una vita buona su questa terra e la pienezza di vita nell’eternità.

Una nuova consapevolezza di noi stessi e del senso della nostra signoria su noi stessi e sulle cose, ci conduce a quella responsabilità che è frutto di una vera libertà: «Non siamo sotto la Legge, ma sotto la grazia» (Rm 6,14).

Nella dinamica fra libertà e responsabilità si pone quell’«antropocentrismo situato» – un antropocentrismo relazionale, responsabile, dell’interconnessione – di cui parla Papa Francesco nella Laudate Deum al n° 67. Ed è in questa dinamica tra libertà e rewsponsabilità che si inserisce il senso dell’obbedienza di cui parlano Paolo nella prima lettura e Gesù nel brano del vangelo.

Non si tratta di obbedienza intesa come sinonimo di cieca sottomissione o di costrizione, ma di quell’obbedienza che nasce dalla fedeltà alla Parola di Dio e alla nostra stessa umanità, che consente di mantenere la consapevolezza che questa vita è un dono non un possesso

Libertà e responsabilità debbono stare insieme. Una libertà senza responsabilità produce caos e ingiustizie, e prevale sempre il più forte; una responsabilità senza libertà diviene obbligo opprimente.

La vigilanza a cui con insistenza ci chiama Gesù, impedisce che libertà e responsabilità vengano rovinosamente separate e impedisce che ci chiudiamo nel momento presente, perdendo così la capacità di alzare lo sguardo e di aprirsi all’incontro con l’altro e con Dio.

Come ai servi della parabola, a ciascuno di noi, con la vita, è affidata una missione di cui rendere conto: «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12,48).

Come i servi della parabola, possiamo vivere la nostra vita guardando solo al momento presente, usando tutto e tutti per il massimo vantaggio qui e ora, oppure vivere la nostra vita cercando di rispondere alla missione affidataci in attesa dell’incontro finale.

Gesù vuole che la nostra esistenza sia feconda, che mettiamo al servizio degli altri i nostri talenti e le nostre capacità, il nostro sorriso, il nostro perdono, il nostro lavoro quotidiano, la nostra vita di fede di speranza e di amore e anche i nostri limiti e le nostre sconfitte. Ci chiede la pazienza del servo fedele che, con gli occhi rivolti verso il Cielo e i piedi ben piantati in terra, svolge il suo servizio in attesa del ritorno del padrone.

La certezza dell’incontro con Cristo, l’attesa di chi ama e desidera che giunga il momento dell’abbraccio, dovrebbe essere il filo conduttore della nostra vita, il fulcro su cui fare leva per ogni nostra scelta, ogni nostra azione, ogni nostra parola, ogni nostro pensiero.

Don Momigli

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