Mercoledì Undicesima Settimana Tempo Ordinario anno pari (2Re 2,1.6-14 Sal 30 Mt 6,1-6.16-18)
Nel nostro cammino di fede è necessaria la disponibilità interiore a mettere sempre più a fuoco l’immagine di Dio che ci portiamo dentro e che, troppo spesso, diamo per scontata.
Il vero volto di Dio ci viene rivelato dalla sua parola, e in modo definitivo nel Verbo fatto carne (cfr Gv 1,14). Ed è alla parola che Dio ci rivolge che dobbiamo prestare attenzione per purificare l’idea interiore che abbiamo di lui.
La frase con la quale inizia la prima lettura di oggi, ad esempio, ci rivela le intenzioni che sono nel cuore di Dio: «quando il Signore stava per far salire al cielo in un turbine Elia» (2Re 2,1).
L’immagine di un Dio che decide di «far salire al cielo» il suo profeta ci fa percepire un Dio che si interessa ad ognuno di noi, che con ciascuno vuole costruire una relazione piena ed eterna.
Solo la relazione con Dio può arrivare ad essere piena ed eterna: le altre nostre relazioni sono segnate dai limiti dell’umano, anche quando sono profonde, come quella fra Elia ed Eliseo di cui parla la prima lettura.
Prima di arrivare al Giordano Elia compie varie tappe, cercando di lasciare indietro Eliseo, ma lui, sapendo che l’esperienza con il suo maestro sta per finire, vuole seguirlo fino in fondo: «Per la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti lascerò» (2Re 2,2.5.6).
Arrivati al Giordano, Elia fa un gesto che può essere inteso come la conclusione del suo mandato: arrotola il mantello e con il mantello arrotolato percuote le acque del Giordano, che si dividono consentendogli di attraversarlo e dimostrando che lo Spirito del Signore è ancora su Elia.
In questo contesto, Elia dice a Eliseo: «Domanda che cosa io debba fare per te, prima che sia portato via da te» (2Re 2,9). Eliseo risponde chiedendo di essere riconosciuto come suo principale discepolo ed erede: «Due terzi del tuo spirito siano in me» (2Re 2,9). Al tempo di Elia, infatti, due terzi era la quota che il primogenito aveva giuridicamente diritto di ricevere dalla successione del padre.
Elia risponde a questa richiesta in modo condizionato: «Tu pretendi una cosa difficile! Sia per te così, se mi vedrai quando sarò portato via da te; altrimenti non avverrà» (2Re 2,10). Come dire: sarà così se il Signore lo vorrà.
«Mentre continuavano a camminare conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elìa salì nel turbine verso il cielo» (2Re 2,11) e sparisce alla vista di Eliseo, che pensa di non essere stato esaudito: «afferrò le proprie vesti e le lacerò in due pezzi» (2Re 2,12).
Vedendo per terra il mantello di Elia ancora arrotolato, Eliseo lo prende e percuotendo le acque del Giordano grida «Dove è il Signore, Dio di Elìa?» (2Re 2,14). Come dire: dove sono andati i due terzi dello spirito di Elia? Le acque del Giordano che si dividono percosse da Eliseo sono la chiara risposta di Dio.
Quello tra Elia ed Eliseo non è un semplice rapporto tra maestro e discepolo. C’è qualcosa di più che si nota nel momento del distacco definitivo: l’uomo di Dio emette un fascino che attrae.
Come testimoniano i vangeli, un fascino tutto particolare emana dalla personalità di Gesù, ma che può emanare anche da ogni donna e da ogni uomo che vive con Dio una relazione di profonda intimità.
Il brano del vangelo di oggi ci aiuta proprio a vivere questa intimità, proponendo di andare alla radice dei nostri atteggiamenti in tre ambiti importanti della nostra vita. Il rapporto con gli altri: l’elemosina; il rapporto con Dio: la preghiera; il rapporto con noi stessi e con le cose: il digiuno.
L’elemosina fa aprire gli occhi sull’altro, sui bisogni di chi ci è prossimo: fa capire che non siamo il centro del mondo e che l’altro va amato nel suo bisogno, proprio quando è più fragile.
La preghiera ci fa uscire dal nostro io e guardare in alto. Ci fa guardare al cielo come metafora del guardare l’universo interiore per scoprire la fonte dell’amore e della grazia che salva.
Il digiuno è la capacità di relazionarsi con le cose con libertà, senza lasciarsi divorare da esse.
Aprirsi al prossimo, uscire dalla solitudine del nostro io in uno sguardo trascendente, governare la nostra libertà, ci aiutano a purificare la nostra idea di Dio e a vivere con intimità, umiltà e concretezza la relazione con lui, con gli altri, con noi stessi e con le cose.