- Mercoledì della terza settimana di Pasqua (At 8,1-8 Sal 65 Gv 6,35-40)
Il libro degli Atti degli Apostoli racconta i primi passi della comunità di Gesù, alla quale sono affidati compiti ben superiori alle proprie forze: testimoniare la resurrezione del Signore e annunciare il suo vangelo.
Nel brano che abbiamo ascoltato come prima lettura, la diffusione della Parola di Dio viene presentata come conseguenza diretta della «violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme» e di come «tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samarìa» (At 8,1).
Mi pare anche significativo il fatto che la Chiesa, per la prima volta, venga identificata con un nome: «Chiesa di Gerusalemme» (At 8,1). Da questo momento in poi, la Chiesa comincia a non essere più intesa solo nel suo significato globale, ma anche nella sua storia e, quindi, nella sua concreta localizzazione.
Identificare la Chiesa con la sua localizzazione richiama ciascuno di noi a tener conto dell’ambito in cui siamo inseriti, a vivere il nostro essere discepoli nella concretezza della realtà, a declinare la specificità della nostra testimonianza nel contesto in cui ci troviamo.
Fra coloro che si erano dispersi e che «andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola» (At 8,4), c’è anche Filippo, che «sceso in una città della Samaria, predicava loro il Cristo» (At 8,5).
La predicazione di Filippo, che avviene in seguito alla persecuzione, dimostra l’efficacia che la Parola di Dio acquista quando viene combattuta, riconducendoci al cuore della fede e dell’esperienza cristiana: il mistero pasquale.
Il Signore vince attraverso la sua apparente sconfitta: Cristo vince attraversando la morte; la Chiesa fiorisce ogni volta che viene colpita. E la Parola si diffonde ogni volta che la Chiesa e “obbligata” a muoversi.
Il testo odierno degli Atti sottolinea anche come lo Spirito conferma la Parola predicata. Il passaggio di Filippo in Samaria e la sua predicazione del vangelo sono accompagnati da forti segni di conferma, operati dallo Spirito di Cristo: guarigioni e liberazioni si realizzano intorno al diacono missionario (cfr. At 8,5-8).
La testimonianza resa a Cristo da parte di Filippo e l’annuncio della salvezza vengono sostenuti e resi evidenti dall’energia divina che opera in lui.
Da questo brano emerge in modo chiaro come la fede sia un vero e proprio movimento esistenziale, un dinamismo che scuote e dirige la vita del discepolo dietro il Signore.
Lo stesso vangelo di Giovanni ci dice che il cammino credente, lontano da concezioni astratte o teoriche, è consapevole adesione alla parola di Gesù e disponibilità a mettere i propri passi sulle sue orme, condividendo il suo stesso nutrimento interiore che è fare la volontà del Padre: «sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.» (Gv 6,38).
Nella prospettiva del quarto Vangelo non esiste fede se non si esprime nella concretezza della sequela, nella disponibilità ad avventurarsi in sentieri sconosciuti e ad assumere logiche diverse da quelle con cui siamo abituati a orientarsi.
Quando la fede non si misura con la concretezza della storia, si rischia di oscillare tra il servilismo e l’opportunismo.
Il servilismo è un modo di scimmiottare il vero timor di Dio, degradando la propria personalità in una serie di pratiche e atteggiamenti religiosi incapaci di reale affidamento a Dio e alla sua grazia.
L’opportunismo, invece, si nutre dell’illusione di potersi rivolgere a Dio, che è buono e misericordioso, per propri bisogni terreni, senza preoccuparsi di fare la sua volontà e di lasciarsi coinvolgere nel suo disegno di salvezza.
La fede è affidamento a Dio e disponibilità a seguirlo, senza pretendere di dettare le regole del viaggio e di stabilirne l’esito. Seguire Gesù non limita la libertà, ma la presuppone.
Se non si crede in modo libero, coinvolgendo tutta la propria persona, non si può essere veri discepoli e cercare la volontà del Padre: «che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,40).
La vita eterna non inizia dopo la resurrezione dell’ultimo giorno, ma è già eterna quella che stiamo vivendo, giacché con la morte la vita non è tolta ma trasformata. Una trasformazione che inizia qui, con le scelte che facciamo e con la fede in Gesù Cristo che abbiamo.