Don Giovanni Momigli

Omelia Badia Fiorentina mercoledì 15 novembre 2023

Mercoledì della XXXII settimana tempo ordinario – anno dispari: Sap 6,1-11   Sal 81   Lc 17,11-19

«Ascoltate, o re, e cercate di comprendere; imparate, o governanti di tutta la terra. Porgete l’orecchio, voi dominatori di popoli» (Sp 6,1-2). I titoli di re, governanti, dominatori, e quanto viene detto a loro riguardo nella prima lettura, possono benissimo riferirsi non solo a chi ricopre particolari ruoli di potere, ma a ciascuno di noi.

Ogni persona in quanto persona è chiamata alla responsabilità e in giudizio. Essere mamma o babbo, ma anche figlio, come pure parroco, insegnante, infermiere, fabbro, imprenditore, amministratore della cosa pubblica o svolgere un qualsiasi altro compito, significa esercitare un certo grado di potere che esige una specifica responsabilità.

«Dal Signore vi fu dato il potere e l’autorità dall’Altissimo» (Sp 6,3a). Quest’affermazione, che è servita nei secoli a legittimare e sacralizzare i poteri, ricorda anche il giudizio divino su come si è amministrato il potere concessoci: il Signore «esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi» (Sp 6,3b).

Più alta è la responsabilità, maggiore deve essere l’impegno a porgere “l’orecchio”, per “ascoltare …comprendere … imparare”, «poiché il giudizio è severo contro coloro che stanno in alto» (Sp 6,5). Ma questo non esime nessuno dal porgere l’orecchio e dal guardarsi dal grande pericolo dell’autoreferenzialità, come dimostra il nostro quotidiano parlare che assomiglia più alla sovrapposizione di monologhi che alla ricerca di un vero dialogo per meglio comprendere persone e situazioni.

Come dalla prima lettura emergono due visioni di potere, quella del dominio che utilizza gli altri e quella della responsabilità che serve gli altri, dal vangelo emergono due visioni di religiosità e di fede.

Se la prima parte del racconto evangelico ricalca le nostre aspettative nei confronti di Dio, di come vogliamo che la sua potenza agisca nella nostra vita quando ci rivolgiamo a lui, la seconda parte mette in luce come ricevere riposta alle nostre suppliche non significa ricevere la salvezza e vivere un fecondo rapporto con Dio.

Mentre Gesù, in «cammino verso Gerusalemme» (Lc 17,11), sta entrando in un imprecisato villaggio, gli vengono «incontro dieci lebbrosi» (17,12). Pur avendo ciascuno una sua propria storia di vita, sono tutti accumunati dalla sofferenza e dall’emarginazione alla quale si trovano costretti a causa della lebbra. Non meraviglia, dunque, che si rivolgano a Gesù con un unico grido: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!» (Lc 17,13).

Da quanto annota l’evangelista, però, sembra che la reazione di Gesù, più che mossa dalla loro richiesta, sia determinata dalla loro condizione: «appena li vide» (Lc 17,14).

Gesù non interviene direttamente, ma in modo mediato: «Andate a presentarvi ai sacerdoti» (17,14). La legge prescriveva che, per essere riammessi alla visibilità e vita comunitaria, era necessaria la verifica della guarigione da parte dei sacerdoti.

I dieci lebbrosi si fidano della parola di Gesù e si avviano per andare dai sacerdoti ad affermare una guarigione che non hanno ancora sperimentato. Ed è per questa loro fede che «mentre essi andavano, furono purificati» (Lc 17,14).

La fede che porta alla guarigione, però, non è detto che sia sufficiente per essere salvati. Si diviene capaci di accogliere la salvezza, non quando ci si limita a invocare con fede e a godere del dono ricevuto, ma quando si ricerca il volto del Signore Gesù per «rendere gloria a Dio» (Lc 17,18).

Dal racconto emerge come uno solo dei dieci lebbrosi desidera incontrare il salvatore, mentre per gli altri nove sembra sufficiente sperimentare il “salvataggio”, avere ottenuto la guarigione.

L’esperienza della guarigione conferma i nove lebbrosi nella loro attitudine religiosa e non sentono il bisogno di altro, mentre per il samaritano – che non ha né tempio né sacerdoti che gli diano una qualche sicurezza religiosa – la guarigione rappresenta la porta da cui passare per una fede piena, aprendo la via dell’adesione personale.

Gli schemi e le pratiche religiose sono importanti fino a quando ci accompagnano all’incontro col Signore, ma rischiano di essere un ostacolo quando diventano un recinto chiuso in cui rifugiarci, perché Dio è sempre oltre ogni nostro schema ed espressione religiosa.

L’incontro col volto del Signore diventa più autentico e pieno quando viviamo la nostra relazione con lui in modo gratuito, quando la nostra preghiera è fatta “senza utile”, quando andando oltre ogni invocazione di necessità cerchiamo Dio per sé stesso.

Don Momigli

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