Don Giovanni Momigli

Omelia Badia Fiorentina mercoledì 12 giugno 2024

Mercoledì della decima Settimana Tempo Ordinario – Anno pari (1Re 18,20-39   Sal 15   Mt 5,17-19)

Pur collocato in un contesto storico, religioso e culturale profondamente diverso dal nostro, il conflitto fra Elia, profeta del Dio di Israele, e il popolo esaltato delle false divinità che vengono onorate con forme di culto superstizioso, mi pare che abbia molto da dire anche per l’oggi.

Le stesse modalità con cui si svolge il duello proposto da Elia con i profeti di Baal, che usano particolari danze, rituali e incisioni su sé stessi per chiedere l’intervento del loro dio, suggeriscono la necessità di un serio discernimento sul nostro modo di porci in rapporto con Dio e nella comunità cristiana.

A Elia che chiede un segno per il popolo, affinché si converta dagli idoli al Dio vivente, il Signore risponde senza bisogno di riti e danze eclatanti. Al Dio di Israele basta la preghiera di chi cerca la sua gloria, non chiede – anzi ripudia – atteggiamenti idolatrici.

Nella complessità della nostra attuale società, dove la realtà appare indecifrabile, aumentano le incertezze e si ricerca il proprio privato benessere, anche coltivando forme intimistiche, sentimentali e individualistiche di religiosità.

La confusione tra fede e religione, tra forma e sostanza e la ricerca di una religiosità a propria misura, “controllabile” e “gestibile”, povera di contenuti e ricca di immagini, riti e scadenze, rappresenta una delle questioni più serie con cui siamo chiamati a confrontarci.

Una certa confusione sui contenuti della sua predicazione e sul suo agire l’ha registrata anche Gesù, giacché sente la necessità di chiarire: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17).

La Legge, come i Profeti che ad essa si richiamano, in Israele aveva il compito di indicare la via del bene, della felicità, della vita (cfr Dt 30,16).

Il pieno compimento di cui parla Gesù è questione assai diversa da un’applicazione formale, fatta anche di rigidità e di sacrifici che tutto dicono meno che l’amore di Dio e la felicità della persona a cui la legge tende.

L’osservare leggi, norme e riti può dare l’illusoria percezione di essere “a posto” nei confronti di Dio e produrre durezza di cuore, senso di superiorità, giudizio e condanna. Nella misura in cui non si osservano, però, possono produrre sensi di colpa, disistima, emarginazione.

La Legge è il dono fatto da Dio ad Israele, per dare la possibilità agli uomini e alle donne che si affidano a lui di vivere nella giustizia, conformemente alla sua volontà.

Non si deve trascurare niente della Legge donata da Dio, ma va vissuta nel modo giusto, cogliendone gli elementi fondamentali, come apparirà dalle parole che seguono il brano che la liturgia di oggi ci ha presentato: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20).

Il regno annunciato da Gesù è già presente e, per accoglierlo, bisogna andare al cuore della Legge e viverla con il cuore, ambito dove prendono origine i nostri pensieri e le nostre azioni.

Come sappiamo bene dall’esperienza, per ottenere comportamenti buoni e onesti non bastano le norme giuridiche che regolano la vita comune, con i suoi doveri e i suoi diritti. Per vivere la propria appartenenza civica sono anzitutto necessarie delle motivazioni, compresa la consapevolezza che ogni persona ha un valore e che ha un valore anche la comunità.

Va purificato il nostro sguardo, il nostro cuore e la nostra mente da ogni legalismo: non possono bastare leggi, norme, riti e tradizioni per vivere in modo libero e fecondo il rapporto con Dio e con gli altri.

Per vivere un fecondo rapporto con Dio e con sé stessi e con gli altri è necessaria la sapienza della vita; la sapienza di Dio accolta attraverso la sua parola, che ci fa cogliere il senso della legge da lui donata e il motivo per cui l’ha donata.

La fede in Cristo ci apre all’azione dello Spirito, ci rende capaci di andare al cuore della Legge e ci mantiene saldi nel comandamento da cui tutto discente e che tutto completa: amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e il prossimo come noi stessi (cfr Mt 22,37-38).

Don Momigli

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