Giovedì della quinta settimana di Quaresima: Gen 17,3-9 Sal 104 Gv 8,51-59
Come ben sappiamo, il cristianesimo è ben più della dimensione religiosa che ogni persona può coltivare dentro sé stessa e di ogni regola e norma morale, anche elevata come possono essere l’amore e il perdono.
Il cristianesimo è fede nella persona di Gesù Cristo “Perfetto Dio e perfetto Uomo”, come dice il Simbolo che la tradizione cristiana attribuisce al vescovo Atanasio di Alessandria.
In quanto vero Dio e vero uomo, Gesù afferma: «Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno» (Gv 8,51).
Non vedere la morte non significa non morire, ma non essere più schiavi di quello che la morte comporta per la nostra profonda sete di gioia, di eternità e di pienezza.
Non vedere la morte significa vivere sapendo che il sepolcro non è l’ultima parola e che, in Cristo, siamo protesi verso la contemplazione del volto del Padre e la piena comunione con lui.
Parole come quelle pronunciate da Gesù suscitano una dura reazione da parte dei Giudei, che, formalmente, sono la discendenza di Abramo, perché membri della stirpe uscita dalle sue viscere, ed eredi della promessa.
Come abbiamo ascoltato nella prima lettura, il Signore sceglie di parlare con Abramo, per rinnovare la speranza nel suo cuore, quando i suoi occhi non sono rivolti verso il cielo, ma verso la polvere della terra (Cfr Gen 17,3).
È proprio mentre è prostrato a terra che Dio fa alleanza con lui, promettendogli che diventerà non padre di un clan, ma di una moltitudine, come simboleggiato dal cambio del nome.
A quest’alleanza il Signore rimane fedele, ma chiede fedeltà: «Disse Dio ad Abramo: “Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione”» (Gen 17,9).
Osservare l’Alleanza. Osservare la parola di Gesù. Ossia, come suggerisce l’etimologia, “serbare, custodire, considerare”. Osservare, ossia “tenere”: tenere, avere a cuore, più l’Allenza e la parola di Gesù che regole, usi e tradizioni.
Pur consapevoli che Dio è fedele per sempre, anche noi, come Abramo, potremo sentire la sua voce che svela il senso del nostro essere nel mondo e quanto lui ha progettato per noi, non cercando di stare sui piedistalli o in cima alle preferenze delle persone, anche se del mondo religioso, ma prostrandoci e facendo esperienza di umiltà.
L’umiltà è indispensabile per non chiudere il cuore e la mente alla novità di Dio, soprattutto quando in gioco c’è qualcosa di ben più grande di una semplice diversità di pensiero e di opinione, come emerge nel confronto fra Gesù e i Giudei.
Separare i comandamenti dall’alleanza, significa separarli dal cuore di Dio, che li ha donati per farci capire se camminiamo nella sua amicizia e verso la meta da lui indicata, e smarrire il senso delle cose e l’orientamento del nostro cammino.
Il “pensiero unico” che caratterizza questi Giudei, che si ritengono interpreti autentici della tradizione dei padri, li porta a guardare alle promesse di Dio solo pensando alla vita terrena, nel suo circolo chiuso che va dalla nascita alla morte, senza aprirsi al loro significato trascendente.
«In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». (Gv 8,58). Nelle parole di Gesù c’è una pretesa che, agli orecchi dei Giudei, suona come una bestemmia. Gesù non solo pronuncia il nome che Dio ha rivelato parlando con Mosè al roveto ardente, ma lo riferisce a sé stesso: «Io Sono» (Gv 8,58).
Non può meravigliare, pertanto, se le pietre dalle quali è stata risparmiata la donna adultera, all’inizio di questo stesso capitolo, adesso vengono raccolte «per gettarle contro di lui» (Gv 8,59). La bestemmia non ammette indulgenza o mediazioni concertate.
Quella che dai Giudei viene considerata una “bestemmia” è la nostra speranza e la nostra salvezza.
Gesù, vero Dio e vero uomo, è parola di vita, di libertà, di amore; offre un senso alla nostra esistenza e infonde fiducia a ogni persona e ad ogni tempo.
Per non cadere nell’errore dei Giudei, dovremmo davvero chiederci che cosa riteniamo indispensabile, nella nostra vita personale e comunitaria. Non si può tenere per forza tutto, col rischio di oscurare il fondamento e di aggrapparci a rami secchi, incapaci di portare frutto.
Solo avendo a cuore la parola di Gesù, ascoltandola e osservandola, la vita che ci è stata donata trova finalmente la sua pienezza. Ora e per l’eternità.