Don Giovanni Momigli

Omelia Badia Fiorentina 3 novembre 2022

Giovedì trentunesima settimana anno pari: Fil 3,3-8   Sal 104   Lc 15,1-10

Essere qui stasera, dopo un lungo periodo di malattia, mi riempie di gioia, come il pastore che ritrova la pecora smarrita e come la donna che ritrova la moneta perduta. Però, non so bene se sono io a ritrovare voi qui in Badia oppure se siete voi che avete ritrovato me.

Una cosa, comunque, è certa: la vostra preghiera, insieme a quella di molte altre persone, mi ha messo nelle mani del Signore e lui non ha consentito che mi smarrissi. Non ha neppure permesso che mi perdessi d’animo.

Come sapete, per un’infezione batterica, in soli tre giorni mi sono trovato in sala operatoria per un intervento d’urgenza, che – fra l’altro – ha comportato una tracheotomia reversibile e trentaquattro giorni di ospedale, di cui nove in terapia intensiva.

Smentendo la mia natura ansiosa e timorosa, ho vissuto con grande serenità questo particolare momento della mia vita. Fin dal primo momento mi sono sentito sorretto, portato sulle spalle come la pecora della prima parabola del vangelo di oggi.

Grazie per la vostra vicinanza. Grazie per la vostra preghiera.

L’evangelista Luca, nei primi versetti del brano che abbiamo ascoltato, descrive il contesto, e potremmo dire il motivo, in cui e per cui Gesù pronuncia tre famose parabole: lo smarrimento di una pecora su cento, cercata e ritrovata con gioia dal pastore; la perdita di una moneta su dieci, che una donna cerca affannosamente, festeggiando il ritrovamento con le amiche e le vicine; il volontario allontanamento dalla casa paterna di un figlio su due.

Il contesto che fa da premessa a queste parabole – oggi ci vengono proposte le prime due – è dato dall’avvicinarsi a Gesù di pubblicani e peccatori «per ascoltarlo» e dalla reazione dei farisei e degli scribi: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro» (La 15,1).

Il fatto che pubblicani e peccatori si avvicinano a Gesù per ascoltarlo è segno che qualcosa in lui li attira e che da lui non si sentono condannati, ma accolti.

Di fronte a questa palese accoglienza, scribi e farisei «mormoravano» (Lc 15,1). Come dimostra la quotidiana esperienza, quando siamo impegnati a mormorare generalmente non si ascolta. Per poterci raggiungere c’è bisogno di una parola forte, che ci interpelli direttamente.

La logica e lo stile di Dio, incarnato da Gesù, puntano a salvare la persona che pecca, a differenza di quello di scribi e farisei che invece tende ad escludere.

Gesù supera la logica umana, che suggerirebbe di non rischiare lasciando abbandonate a sé stesse novantanove pecore per andare a cercarne una, perché si mette nella pelle della pecora che si è perduta e che, lasciata a sé stessa, cadrebbe nella disperazione.

Il ragionamento di Gesù è chiaro: se ci muoviamo per ritrovare una pecora o una moneta, ritenute preziose, e se si gioisce per averle ritrovate, tanto più si dovrebbe cercare chi è perduto e gioire per una persona recuperata.

Il messaggio di queste parabole non è diretto solo alle persone che si sentono a posto e che mormorano, ma dice qualcosa di importante per tutti: se ti senti peccatore, se pensi di essere perduto, ricorda che Dio ti cerca perché per lui hai un valore immenso: «vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7).

Dio ci viene sempre incontro, affronta la fatica del cammino, e quando ci trova gioisce per noi e con noi. Gioisce come gioisce il pastore che ha ritrovato la sua pecora e la donna che ha ritrovato la sua moneta.

Chi viene cercato e accolto da Cristo, perché perduto, può arrivare a vivere con Cristo un rapporto sublime. Basta pensare a Saulo di Tarso che, come pecora perduta, è stato cercato e conquistato da Cristo, tanto da arrivare a “perdersi” in Cristo e a ritenere «che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore» (Fil 3,8).

Chi si trova nel deserto del mondo è facile che si perda, ma può anche perdersi chi vive dentro sacri e rassicuranti recinti.

Nei deserti del mondo non è facile riconoscere il bisogno di convertirsi, neppure per i cristiani. Lo spirito del mondo favorisce l’illusione di non essere mai nella schiera dei responsabili di quel che accade o suggerisce le giustificazioni necessarie per autoassolversi.

Nei sacri recinti, alle illusioni e giustificazioni comuni allo spirito del mondo, la difficoltà a sentire il bisogno della conversione deriva proprio dal trovarsi “dentro”, dalla formale fedeltà a norme, regole, precetti, stati di vita. La difficoltà a sentire l’urgenza della conversione, può anche derivare dall’implicita considerazione di aver già fatto una scelta.

Se si attenuano o addirittura si smarriscono il senso del peccato e la necessità della conversione, scompare anche la possibilità dall’incontro con Cristo, che è sempre sanante e trasformante.

Per sperimentare l’intensità e la profondità di quella gioia che nasce dal sentirsi amati e salvati, è necessario tener viva la consapevolezza che possiamo sempre perderci e che è nell’oggi della nostra vita che siamo chiamati a nuova conversione.

Don Momigli

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