Don Giovanni Momigli

Omelia Badia Fiorentina 27 maggio 2021

Giovedì ottava settimana Tempo Ordinario: Sir 42,15-26   Sal 32   Mc 10,46-52

«Ricorderò ora le opere del Signore e descriverò quello che ho visto» (Sir 42,15).  Queste parole mi pare possano rappresentare la chiave interpretativa dell’intero brano del Siracide che abbiamo ascoltato.

Quando troviamo l’espressione “le opere del Signore”, frequentissima nella scrittura, generalmente pensiamo al cielo, alla terra e all’intera creazione.

Dobbiamo, però, “ricordare” che “opere del Signore” sono tutte le sue azioni nella storia, che iniziano proprio dalla creazione. Come dobbiamo “ricordare” che la Scrittura considera grande opera del Signore la liberazione dall’Egitto, tanto da farne il fondamento della fede d’Israele: Dio ha liberato il suo popolo con «mano potente e braccio teso» (Dt 5,15).

Come fondamento della fede cristiana è l’incarnazione e la passione, morte e risurrezione del Signore: la grande opera che ci ha resi figli nel Figlio.

È necessario ricordare, per mantenere viva l’esperienza delle mirabili opere del Signore. Ed è necessario descrivere quello che si ode e si vede, per rendere testimonianza agli uomini dell’esperienza vissuta e per elevare a Dio la lode per quanto da lui compiuto.

Il versetto successivo afferma chiaramente che è la parola (più che le parole) che compie, che fa sussistere le opere. Parola e opere, in stretta relazione col giudizio: «per le parole del Signore sussistono le sue opere, e il suo giudizio si compie secondo il suo volere» (Ser 42,16).

La parola di Dio crea un’opera e formula un giudizio. Consente il discernimento tra bene e male; tra ciò che è bene per la persona e ciò che è dannoso; tra quello che costruisce relazione e comunità e quello che invece le distrugge.

La parola che genera e fa sussistere le opere è parola potente, che realizza quello che dice ed è sempre per il bene.

Niente a che vedere con le nostre parole, anche quando sono performative e anche se un tempo la parola data, assieme a una stretta di mano, era considerata affidabile quando e più di un contratto. Parole che oggi sembrano smarrite, lasciando il posto alla chiacchiera.

La chiacchiera non è affidabile, non compie nessuna opera, mentre può arrivare a distruggere, persone e progetti; può svuotare di senso un’esperienza, inquinare la memoria e deformare ogni descrizione.

La chiacchiera, ad esempio, può generare pensieri falsi e ostacolare la consapevole assunzione della verità, della realtà, delle grandi opere di Dio.

La chiacchiera, soprattutto quando viene rivestita di un apparente ragionamento, può condurre alla pericolosa presunzione che è possibile comprendere e possedere interamente la realtà.

L’esperienza, invece, ci dice che ogni nuova scoperta, mentre arricchisce la nostra conoscenza, mette in evidenza quanto sia vasto quello che ancora non conosciamo.

Parafrasando Papa Francesco, quando afferma che la realtà è superiore all’idea, si può dire che le grandi e reali opere di Dio, sono sempre più grandi del pensiero e del metodo scientifico, compreso quello teologico, con cui si leggono, si indagano e si interpretano.

Saggiamente, il Siracide afferma che «neppure ai santi del Signore è dato di narrare tutte le sue meraviglie, che il Signore, l’Onnipotente, ha stabilito perché l’universo stesse saldo nella sua gloria» (Sir 42,17). Aggiungendo che di tutte le amabili opere del Signore «appena una scintilla se ne può osservare» (Sir 42,22).

Troppe volte abbiamo l’illusione di vedere, mentre, a causa della presunzione che offusca gli occhi del nostro cuore e della nostra mente, non riusciamo a contemplare neppure quella scintilla che ci sarebbe possibile osservare.

Quando siamo davvero convinti di vedere e di possedere la realtà, quello è il momento del fermarsi e di fare nostro il grido di Bartimeo: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (Mc 10,47). È il momento di continuare coraggiosamente a gridare, sostenuti dalla certezza che il Signore sanerà la nostra cecità, anche se intorno a noi, e anche dentro di noi, ci sono voci che vorrebbero farci tacere.

La presunzione di vedere porta a quella cecità dello spirito che impedisce di vedere l’essenziale e di fissare lo sguardo sull’amore che dà la vita, portandoci piano piano a fermarsi solo la superficie delle persone e delle cose, fino a diventare insensibili agli altri e al bene.

Bartimeo appena «vide di nuovo» cominciò a seguire Gesù lungo la strada (cfr Mc 10,52). È il percorso a cui tutti siamo chiamati: andare a Gesù e invocare la sua misericordia per vedere la luce, per guardare al futuro con fiducia, per ritrovare l’umiltà, la forza e il coraggio di rimetterci sempre in cammino.

Don Momigli

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