Mercoledì seconda di Pasqua: At 5,17-26 Sal 33 Gv 3,16-21
A Nicodemo, che era andato da lui di notte, Gesù ha detto che per vedere e entrare nel regno di Dio, occorre nascere dall’alto, dall’acqua e dallo spirito (cfr Gv 3,1-6). E gli ha preannunciato che sarà innalzato sulla croce «perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3, 15).
Nel brano che la liturgia di oggi ci propone, in modo ancora più esplicito, Gesù rivela a Nicodemo il meraviglioso progetto del Padre che lui sta attuando nel mondo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
Queste parole sono una meravigliosa sintesi, che ci porta al cuore di tutto il Vangelo di Giovanni, scritto perché crediamo «che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo», abbiamo «la vita nel suo nome» (cfr Gv 20,31).
«Dio ha tanto amato il mondo», sembra un’affermazione che contrasta con quanto Giovanni scrive nella sua prima lettera: «Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui» (1Gv 2,15).
La parola mondo, nel vangelo di Giovanni, viene usata con significati diversi. Può indicare l’universo creato o la terra o le persone che la abitano. Può significare anche un gruppo numeroso di persone, come quando – riferendosi ad una partecipazione ampia a un evento – noi usiamo dire: “c’era il mondo!”
Il mondo da non amare non sono le donne e gli uomini che lo abitano, ma le strutture di pensiero e di peccato che si oppongono alla logica di Dio.
Si oppone alla logica di Dio, ad esempio, l’ingiustizia sistematica, le religioni che giustificano la violenza del potere e perfino la guerra, l’idolatria verso le cose e verso sé stessi, la trasformazione in fini di quelli che sono solo strumenti.
L’intervento di Dio è sempre per la salvezza: «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17).
Una salvezza connessa con la fede: «Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato» (Gv 3,18)
La discriminante non consiste nell’essere o non essere peccatore. Può accadere di fare il male, ad esempio per debolezza o passione, senza che questo denoti una scelta di fondo, una specifica impostazione di vita.
Gesù dice chiaramente che la discriminante consiste nell’amare le tenebre (cfr Gv 3,19), perché nascondono la malvagità delle intenzioni e delle opere.
Si tratta, pertanto, di una preferenza, un attaccamento, una scelta consapevole. Così come scelta consapevole è quella di andare verso la luce, facendo la verità (cfr Gv 3,21).
Fare la verità andando verso la luce, perché ancora non siamo totalnente nella luce. La nostra debolezza umana si fa sentire.
Per il mondo biblico, la verità di Dio non è tanto da conoscere, ma da fare, da realizzare, perché consiste nel piano salvifico di Dio da accogliere nella propria vita e da costruire insieme con lui.
Il Libro degli Atti, infatti, testimonia come la sinergia tra lo Spirito Santo e le persone inviate da Gesù può creare situazioni inedite, come quella di cui parla la prima lettura (At 5,17-26).
Il sommo sacerdote e i capi mettono in prigione gli apostoli e il giorno dopo li ritrovano nel tempio ad annunciare la parola di Gesù, senza che nessuno abbia aperto loro le porte del carcere e senza che le guardie si siano accorte di un qualche movimento fuori dell’ordinario.
Questi uomini, prima ancora che dalle sbarre del carcere in cui erano stati rinchiusi, sono stati liberati dalla paura che li inchiodava dentro il cenacolo.
Forti dell’azione dello Spirito che li sostiene e li guida, ora si assumono coraggiosamente il compito di testimoniare pubblicamente la Parola loro affidata.
Il mandato di annunciare il vangelo dato agli apostoli, oggi continua a risuonare per noi. A noi, discepoli di questo tempo, viene affidato il compito di rompere con schemi e stili di vita che paralizzano e di uscire ad annunciare la parola di salvezza, per rendere partecipi le donne e gli uomini di oggi della dinamica della Pasqua, che – come abbiamo pregato nella colletta – ridona la dignità perduta e dà la speranza nella risurrezione.