Don Giovanni Momigli

Omelia Badia Fiorentina 26 gennaio 2022

  1. Santi Timoteo e Tito: 2Tm 1,1-8   Sal 95   Lc 10,1-9

«La messe è abbondante» (Lc 10,2). Il campo del mondo è sconfinato ed esige un numero sempre maggiore di persone che si prendono a cuore la storia e la vita di tutti e di ciascuno. Il mondo ha bisogno di amore e gli operai dell’amore non bastano mai.

La missione di chi crede in Gesù Cristo è la stessa di Cristo: amare il mondo, perché il mondo si salvi per mezzo di lui; prendere a cuore ogni persona, affinché ciascuno possa essere raggiunto dall’amore di Cristo e possa trovare in Cristo il senso e il significato della propria vita e pienezza di vita.

Il discepolo è chiamato a un compito duplice e contestuale: pregare «il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe» e andare ad annunciare con amore il regno di Dio, senza puntare sulle sicurezze umane (cfr Lc 10,2-9).

L’annuncio e la trasmissione della fede non sono eventi puramente dottrinali. Non sono dati dalla conoscenza e dalla recita del Credo, anche se la fede si esprime nel Credo.

La fede si trasmette per contagio, da bocca a orecchio, da cuore a cuore, tramandando quello che noi abbiamo ricevuto con il calore di una relazione e dalla forza di una testimonianza.

A questo proposito, Benedetto XVI, inaugurando la V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi presso il Santuario “La Aparecida” (13 maggio 2007), ha fatto una significativa affermazione, più volte ripresa da Papa Francesco: «La Chiesa non fa proselitismo… si sviluppa piuttosto per “attrazione”: come Cristo “attira tutti a sé” con la forza del suo amore…».

La Chiesa cresce non per proselitismo ma per attrazione, perché la fede si trasmette per attrazione, con un’esperienza di vita capace di affascinare e porre interrogativi, coltivando la qualità e la verità delle relazioni quotidiane.

Come attestano le parole di Paolo a Timoteo, proclamate nella prima lettura di oggi, la fede, si trasmette proprio attraverso le preziose relazioni d’amore che vanno dai vincoli di sangue alla figliolanza spirituale.

Nella relazione fra Paolo e Timoteo si intrecciano gli elementi fondamentali dell’annuncio evangelico e i vincoli d’amore fraterno che li accompagnano.

Quello che unisce Paolo e Timoteo è certamente frutto del ministero apostolico, come ricorda lo stesso Paolo affermando di essere «apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio e secondo la promessa della vita che è in Cristo Gesù» (2Tm 1,1).

Da questo ministero nasce una feconda relazione e un vincolo profondo. Paolo chiama Timoteo «figlio carissimo», lo ricorda nelle «preghiere sempre, notte e giorno» e gli confessa: «Mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia» (cfr 2Tm 1,2-3).

Come ricorda Paolo, sono due le vie che hanno condotto Timoteo al dono della sua «schietta fede» (2Tm 1,5).

L’incontro con Paolo è stato decisivo, ma il sentire interiore di Timoteo era già predisposto da quanto ricevuto dalla nonna Loide e dalla madre Eunice (1Tm 1,5).

Con le sue parole, Paolo, oltre a mettere in luce il legame che si crea nell’annunciare Cristo e la sua parola e nel condividere una stessa missione, getta una luce sulla dinamica della trasmissione della fede nella realtà familiare: dai nonni ai genitori, ai figli…

Entrambi questi due momenti possono aiutarci a fare un serio esame di coscienza sui motivi della sterilità che caratterizza le famiglie e le comunità cristiane in questo nostro tempo.

Fra questi motivi possiamo individuare l’incapacità a coltivare relazioni significative e attraenti; il farsi paladini di verità che non coinvolgono né interloquiscono con la realtà; il racchiudere tutto in pratiche devozionalistiche e in emozioni di breve durata, che non interrogano la vita nella concretezza delle sue varie espressioni.

La fede si trasmette solo vivendo il fuoco dell’amore. Un fuoco che va mantenuto acceso ravvivando il dono di Dio (cfr 2Tm 1,6), facendo memoria e prendendo coscienza di quanto Dio compie in noi e attorno a noi.

Un fuoco da ravvivare costantemente, per non vacillare sotto il peso delle difficoltà e delle sofferenze, per crescere nell’amore e per annunciare «di giorno in giorno» la salvezza di Dio (cfr Salmo 95,2).

Ravviviamo il dono di Dio in noi, unendoci alla preghiera per la pace, chiesta da papa Francesco per questo mercoledì 26 gennaio, visto «l’aumento delle tensioni che minacciano di infliggere un nuovo colpo alla pace in Ucraina e mettono in discussione la sicurezza nel Continente europeo, con ripercussioni ancora più vaste» (Dopo Angelus, 23/1/22).

Il Signore ci avvolga con la sua misericordia e ci conceda pace.

Don Momigli

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