Don Giovanni Momigli

Omelia Badia Fiorentina 22 dicembre 2021

Feria propria del 22 dicembre: 1Sam 1,24-28   1Sam 2   Lc 1,46-55

L’itinerario di fede compiuto da Maria accompagna i nostri ultimi passi in preparazione al Natale, per introdurci a una rinnovata e fruttuosa contemplazione del mistero dell’Incarnazione.

Nei giorni scorsi, la liturgia ci ha fatto meditare sull’umile audacia di Maria, che senza timore ha chiesto all’angelo di Dio, non una rassicurazione, ma un’indicazione per poter aderire con tutta sé stessa al disegno di salvezza da lui annunciato: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34).

Maria, dopo la risposta dell’angelo, accetta quanto il Signore le chiede e Dio cambia la sua vita, facendo del suo corpo di giovane donna la dimora del Verbo che si fa carne. Così Maria sperimenta che essere guardati dal Signore rende fecondi e fa vivere in pienezza.

La fede è il cuore di tutta la storia di Maria. Come dimostra anche il suo cantico di lode, che descrive la misericordia di Dio come motore della storia: la storia personale di ciascuno di noi e quella dell’intera umanità.

Per questo non esita a riconoscersi «serva del Signore» (1,38), ossia persona che ha messo la vita a servizio del suo amore per l’umanità, e a proclamare che la vita si realizza proprio mettendola al servizio del disegno di salvezza di Dio.

Dio non smette mai di offrire «la sua misericordia», perché in «quelli che lo temono» (cfr Lc 1,50), il suo nome possa essere lodato e a tutti rivelato.

A ciascuno, personalmente e come comunità, è chiesto di mettere con fiducia quello che siamo nelle mani del Signore.

Tutto quello che siamo. Anche e soprattutto le pieghe più ambigue e oscure del nostro vissuto, quei segmenti della nostra vita che la provvidenza di Dio ha «rovesciato», o rovescerà, ha «disperso», o disperderà, ha e «rimandato» o rimanderà (cfr Lc 1, 51-52).

Senza queste dolorose eppure autentiche esperienze di vita, che ci saggiano, e senza guardare in faccia le nostre crisi e senza cercare di capire le crisi che pensiamo abbiano gli altri e che siamo chiamati a condividere, non si può elevare lode a Dio che continua a soccorrere (1,54), che non si stanca di raggiungendoci nella nostra piccolezza. Sempre, «come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre» (Lc 1,55).

In ogni versetto del Magnificat possiamo anche intravedere il fiume segreto di gioie e di speranze, di dolori e di angosce che hanno attraversato e continuano ad attraversare il cuore e le viscere dell’umanità.

Pur in modo diverso, Maria, con la lode della sua vita, e Anna, che si presenta a Eli, sacerdote del tempio, dichiarando di essere una «donna» felice per aver saputo «pregare il Signore» (1Sam 1,26), ci fanno capire che ogni dono di Dio viene bene accolto bene quando non si tenta di impossessarsene.

Il dono ricevuto dal Signore non è possesso di chi lo riceve. Ogni dono è anche una chiamata. Un compito. Una missione.

Potremmo dire che ogni dono chiede una “restituzione”: «Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore» (1Sam 27-28).

Lo splendore della nostra relazione con il Signore emerge proprio in questo scambio: quello che il Signore ci dona è via per la nostra comunione con lui.

Cogliere quel che ci è dato come dono, o che ci è stato donato di acquisire anche con fatica, domanda una “restituzione”, una messa a frutto per costruire fraternità e comunione, mi pare illumini bene il severo giudizio espresso nel Magnificat sulle ricchezze e i poteri mondani, quando sono stravolti e vissuti come possesso.

Cogliere il dono nella sua intrinseca dinamica di “restituzione”, mi pare illumini anche il modo con cui siamo chiamati a vivere la nostra vocazione, personale e comunitaria. Non possiamo vivere la chiamata ricevuta come se fosse nostro possesso.

A noi è chiesta la risposta alla chiamata, ossia la “restituzione”, ma la chiamata è un dono che non è nostro, che non possiamo tenere per noi. Non siamo padroni della nostra chiamata, ma responsabili della risposta.

In questa imminenza del Natale, lodiamo il Signore per le grandi meraviglie che continua a compiere nella nostra vita e attraverso la nostra vita. E al Signore che viene domandiamo la grazia di saperlo accogliere e di rispondere a lui come lui ha risposto alla chiamata del Padre: «Ecco, io vengo…per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7).

Don Momigli

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