Don Giovanni Momigli

Omelia Badia Fiorentina 20 maggio 2021

Giovedì settima di Pasqua: At 22,30;23,6-11   Sal 15   Gv 17,20-26

L’unità è un bene essenziale ed è premessa indispensabile per vivere la missione, tanto che Gesù prega il Padre «perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).

Gesù non ha pregato perché i suoi venissero uniformati e non ci ha chiesto di esserlo: non vuole unità nella forma, ma nella sostanza. Gesù ha pregato perché i suoi siano una cosa sola e ci ha chiesto di essere in comunione.

La verifica del nostro essere uniti, quindi, non sta nella ricerca ad oltranza, con un’ossessione quasi ideologica, di quello che ci rende simili, ma nel rimanere radicati nell’amore di Cristo, che domanda anche il rispetto, la difesa e la valorizzazione di ciò che ci fa diversi.

Rimanere nel suo amore, come chiede il Signore, rende una cosa sola, ma non appiattisce; armonizza le diversità, malgrado naturali tensioni e i conflitti.

Ciò che conta è non lasciare spazio al diavolo, che è spirito di menzogna e divisione. Per non lasciargli spazio non dobbiamo mai abbassare la guardia, neppure sottovalutando i piccoli segni di incomprensione, intolleranza, disgregazione presenti all’interno delle famiglie, anche delle varie famiglie religiose, come nelle parrocchie, nelle diocesi e nell’intera Chiesa.

Sappiamo bene che, fin dall’inizio, la storia della Chiesa è segnata da interessi personali, egoismi e falsità. Basta pensare al caso di Anania e Saffira, narrato dal libro degli Atti degli Apostoli. Ma anche alle tante piccole competizioni o ai grandi scandali che hanno segnato e ancora segnano la vita della Chiesa.

Fare unità è una vera e propria lotta, che da soli non possiamo combattere. Ma Gesù ha pregato anche per noi, pregando per i discepoli di tutti i tempi: «non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te» (Gv 17,20).

Queste parole Gesù le pronuncia durante l’ultima cena, alla quale ci uniamo partecipando nella celebrazione eucaristica, vivendo il suo comando: «fate questo in memoria di me» (cfr Lc 22,19; 1Cor 11,24).

Nella celebrazione della Cena del Signore, diventiamo in un certo senso contemporanei dell’avvenimento salvifico della passione, morte in croce e risurrezione di Cristo e ci nutriamo del suo corpo e del suo sangue, diventando una cosa sola in lui.

L’unità che si costituisce in Gesù e per la quale Gesù prega, non è un’unità qualsiasi, ma quella che viene dalla sua intima unione del Padre ed è per la salvezza.

C’è anche un’altra unità: apparente, strumentale, finalizzata a interessi particolari, che di solito è “contro” e non “per”, dalla quale occorre guardarsi, perché porta sulla via della perdizione.

Esempio di unità apparente, solo strumentale, è quella degli accusatori di Paolo, di cui parla la prima lettura.

Il gruppo di coloro che si erano opposti a Gesù, tanto da forzare Pilato a condannarlo a morte, ora si presentano insieme per accusare Paolo.

La loro, però, è un’unità falsa, senza consistenza, strumentale, finalizzata solo a mettere a tacere Paolo, che con ardore e vigore particolare annuncia Cristo risorto e il suo Vangelo, sconvolgendo schemi ed equilibri religiosi e sociopolitici.

Farisei, dottori della legge, anziani, sadducei di fatto hanno trasformato il loro essere custodi della legge, della dottrina e della fede in un’ideologia, funzionale al mantenimento di un determinato status religioso, sociale e politico. Ma fra loro non c’è vera unità. Non c’era neppure l’unità della fede.

Paolo sa bene tutto questo e intelligentemente ne approfitta per far scoppiare le loro contraddizioni. Dice di essere fariseo e di essere «chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dai morti» (At 23,6). Poiché i sadducei non credevano nella risurrezione dei morti, «scoppiò una disputa tra farisei e sadducei e l’assemblea si divise» (At 23,7).

Paolo, uomo che arde di zelo per Cristo e che per il vangelo affronta molteplici difficoltà e pericoli, trova la sua forza nella preghiera, dove incontra il Signore che gli si fa vicino e lo incoraggia (cfr At 23,11).

Gesù prega per noi. Unendo la nostra preghiera alla sua, anzitutto teniamo lontano il diavolo, vincendo la tentazione di essere fautori di uniformità, di conformismo e di unità strumentale. Nella preghiera troviamo anche il coraggio e la forza per essere operatori di quell’unità per la quale il Signore ha pregato.

L’unità vera, che rende credibile la nostra vita e il nostro annuncio, nasce dalla relazione con Cristo, dal rimanere nel suo amore.

Don Momigli

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