- Venerdì terza settimana di Avvento: Is 56,1-3.6-8 Sal 66 Gv 5,33-36
Le parole del profeta Isaia – che si è fatto nostro compagno di viaggio in questi giorni di preparazione al Natale – ci dicono chiaramente le intenzioni di Dio nei confronti di persone e popoli: «li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera» (Is 56,7).
Se non fossimo ancora sufficientemente convinti, il profeta ribadisce: «Io ne radunerò ancora altri, oltre quelli già radunati» (56,8).
Nessuno è tenuto fuori. Nessuno deve sentirsi escluso. Tutti siamo chiamati alla salvezza. Per poterla accogliere, però, va osservato «il diritto» e praticata «la giustizia» (cfr Is 56,1).
Queste parole di Isaia ci aiutano a guardare all’incarnazione del Verbo, perché diritto e giustizia sono doni messianici e trovano nella venuta del Salvatore la loro realizzazione.
Ci fanno pensare al Natale anche le parole sulla volontà di Dio di riunire i popoli sul suo santo monte, per colmarli di gioia. Se ci pensiamo bene, con i nostri piccoli o grandi presepi, esprimiamo anche visivamente proprio la dinamica di movimento verso un unico luogo, per fare esperienza della gioia.
Nel presepe tutti i personaggi, di ogni età e di ogni ceto sociale, vanno verso la stalla, dove Gesù è nato ed è stato deposto in una mangiatoia, per accogliere il mistero dell’incarnazione del Verbo, che presenta in modo totalmente nuovo il volto di un Dio che si mette nelle nostre mani, che si affida alla nostra cura, che, per poter raggiungere tutti, domanda la nostra fede e la nostra testimonianza.
Essere salvati ed essere strumento di salvezza, significa accogliere la novità di Dio nella nostra vita e cercare in modo sempre nuovo di proiettare sulla vita degli altri un raggio di luce che sia capace di illuminare, di riscaldare, di dare speranza e gioia.
Quello che il Signore Gesù dice di Giovanni il Battista, con un’immagine precisa che abbiamo ascoltato nel vangelo di oggi, è anche la vocazione di ciascuno di noi: «lampada che arde e risplende» (Gv 5,35).
Chiunque ha incontrato Gesù gli è testimone e con la sua vita rimanda a lui, come ha fatto Giovanni.
La radice della grandezza di Giovanni è la sua umiltà, la chiara coscienza di sé stesso e del suo ruolo.
La grandezza di Giovanni sta nell’essere tutto orientato al Messia che viene, nel suo essere fiaccola che non si è lasciata spegnere dal soffio della vanità, dall’illusione di essere luce.
Se viviamo guardando solo a noi stessi, al massimo possiamo essere brave persone secondo la mentalità comune. Ma non potremo mai essere grandi persone, persone di un certo spessore umano.
Per essere persone di spessore, e sempre feconde, è indispensabile orientare la nostra vita fuori di noi, verso qualcuno, e avere come priorità il diritto e la giustizia.
Presentandoci la figura del Battista – il più grande tra i figli di donna, anche se il più piccolo del regno è più grande di lui (cfr Mt 11,11) – la liturgia ci chiama a fare anche un passo ulteriore: verificare la verità del nostro cammino di conversione, per vedere se è completamente orientato a Cristo, accompagnato dall’ascolto della sua Parola e dalla testimonianza della sua persona.
Il brano del vangelo di oggi, però, non dice solo della testimonianza che nasce da una fiducia incondizionata in Gesù, ma rivela anche un intreccio fecondo di testimonianze.
Si parla del Battista che ha reso testimonianza a Gesù, ma si parla anche della testimonianza del Padre, di cui Gesù compie le opere che manifestano la venuta del regno in mezzo a noi.
Il vangelo ci dice pure che Gesù, non solo riceve testimonianza, ma rende lui stesso testimonianza: al Padre, a Giovanni, a chiunque entra in relazione con lui, lasciandosi incontrare e chiamare
La liturgia ci spinge e ci aiuta a verificare la bontà dei nostri passi di conversione, perché anche nella preparazione al Natale non ci sfugga il traguardo a cui l’ascolto della Parola di Dio e il Natale stesso ci orientano: l’incontro col Padre e col suo amore, di cui Cristo è rivelazione piena e definitiva.