Don Giovanni Momigli

Omelia Badia Fiorentina 15 giugno 2023

Giovedì decima settimana per annum – dispari: 2Cor 3,15-4,1.3-6   Sal 84   Mt 5,20-26

Paolo, apostolo per conversione, ci invita a leggere e a riflettere sulle Scritture non con la sola razionalità, ma con il cuore e la mente aperti agli svelamenti e a ricevere nuove rivelazioni, del mistero non sondabile con le sole forze umane.

Se ci avviciniamo alle Scritture fermandoci alla “lettera”, si rischia di trasformare tutto in morale e di fare i moralisti; si rischia di ridurre tutto all’applicazione di norme, dando valore alla pratica formale, più che allo spirito da cui e per cui le norme sono state date.

Se, invece, ci si lascia raggiungere dallo “Spirito”, la lettura diviene dinamica e si intrecciano parole e realtà, assumendo le caratteristiche di un’esperienza viva, che trasforma e rende liberi.

La conversione folgorante di Paolo – Saulo in ebraico significa “desiderato”, “chiamato”, anche “offerto” – ha trasformato il suo sguardo, facendogli vedere tutto da un’altra prospettiva.

Nel brano proposto come prima lettura, Paolo parla della libertà purificandola da interpretazioni soggettive e narcisiste. La libertà di cui parla Paolo non è la banale, egoistica e illusoria possibilità di vivere senza vincoli, ma la condizione data dalla presenza dello Spirito del risorto: «Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà» (2Cor 3,17).

I discepoli di Cristo, per Paolo, debbono sentirsi ed essere consapevoli non solo di agire nel nome del Signore, ma di avere la possibilità di presentarsi agli altri e a Dio stesso senza alcun timore, «secondo la misericordia che ci è stata accordata» (2 Cor 4,1). Questa consapevolezza produce sostanziali conseguenze sul modo di percepire e orientare la nostra esistenza.

Paolo afferma con forza di aver fatto della sua vita, convertita al Signore, un continuo e totale servizio a Gesù Cristo, vissuto concretamente nel “servire” i fratelli mettendo al centro solo il Vangelo: «Noi non predichiamo noi stessi ma Cristo Signore. Noi siamo i vostri servitori a causa di Gesù» (2 Cor 4,5).

La vita e il pensiero di Paolo sono frutto della novità compiuta da Gesù Cristo nella sua Pasqua di morte e risurrezione e annunciata con la sua parola.

La novità è chiaramente espressa, nel brano del vangelo di oggi, con parole che Gesù pronuncia autorevolmente, per far entrare i suoi nella logica di Dio, superando la giustizia farisei: «ma io vi dico» (Mt 5,22).

Con quest’affermazione Gesù non intende negare o far perdere di valore a quanto è stato detto, ma proporre qualcosa di più radicale e profondo.

Gesù, ad esempio, non toglie valore al comandamento di non uccidere, ma invita ad andare alla radice del male, a quel che precede e può portare all’omicidio.

La radice del male nasce e cresce in un’inquinata relazione con l’altro; nel considerare l’altro per i miei scopi; nel coltivare l’ira contro l’altro.

Sentimenti come l’ira, il disprezzo, il credersi saggi e giusti solo noi, sono segni di un cuore malato e conducono alla ricerca del predominio nelle relazioni.

Basta dare uno sguardo ai social o a quanto avviene in ambito politico. Chi sostiene un’idea diversa è considerato un nemico e va ritenuto stupido o cattivo o in malafede. L’altro non una persona con cui confrontarsi, ma un ostacolo da eliminare.

Con il discorso della montagna, Gesù ci insegna che, non solo non si deve uccidere l’altro materialmente, ma non lo si deve neppure considerare «stupido» o «pazzo» (Mt 5,22), nemmeno se ci fossero dei motivi per farlo: «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).

Per Gesù, il «fratello» è lo specchio in cui dobbiamo imparare a scrutare la nostra capacità di vivere una giustizia superiore a quella dei farisei e poter così entrare nel regno dei cieli

Il Signore ci chiede di posare le armi nei confronti dell’altro — soprattutto quelle parole e quei silenzi capaci di uccidere senza far morire —, ma soprattutto ci chiede di rinunciare a pensare che sia possibile un rapporto con Dio, senza accogliere e costruire il dono della fraternità.

Don Momigli

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