Don Giovanni Momigli

Omelia Badia Fiorentina 15 aprile 2021

Giovedì seconda di Pasqua:At 5,27-33   Sal 33   Gv 3,31-36

Le parole del brano del Vangelo che abbiamo ascoltato, sono un commento dell’evangelista per aiutare le comunità a capire meglio tutta la portata del rapporto tra il Padre e il Figlio e la testimonianza del Figlio che «attesta ciò che ha visto e udito» (Gv 3,32).

L’effetto della testimonianza del Figlio, è un dono d’amore smisurato e gratuito, imprevedibilmente generoso: «dice le parole di Dio» e «senza misura [lett. senza metro] egli dà lo Spirito» (Gv 3,34).

La donazione del Figlio è totale. Non è frenata dai tanti “se” e dai tanti “ma” che caratterizzano il nostro ragionare, il nostro dire, il nostro operare e che rendono piccola e contraddittoria la nostra vita e la nostra testimonianza.

Il Figlio rimane ancorato al Padre. Si rimette obbediente nelle sue mani sino alla donazione totale: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu». (Mc 14,36).

Con la sua obbedienza, Gesù comunica l’amore del Padre e per il Padre e salva tutti. Con la nostra obbedienza, diamo consistenza alla nostra testimonianza e possiamo diventare occasione di salvezza.

A imitazione della relazione di Gesù col Padre, se rimaniamo ancorati al Figlio e alla sua parola, pian piano potremo diventare persone “smisurate” e libere: «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui» (Gv 3,36).

L’obbedienza può portarci a percorrere vie diverse da quelle da noi pensate. Ma quando la viviamo con fedeltà, sia pur con difficoltà, l’obbedienza ci rende fecondi, proprio perché ci muove e ci conduce su un percorso diverso da quello da noi ipotizzato.

Di obbedienza ci parla anche la prima lettura. Un Pietro tutto nuovo dopo la Risurrezione e la discesa dello Spirito santo, proclama coraggiosamente, a nome anche degli altri Apostoli, il principio fondamentale della libertà della fede e della coerenza di vita dei cristiani: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5,29).

Bisogna obbedire a Dio anche quando ci si trova di fronte alle minacce e al rischio della vita. Ma dobbiamo obbedire a Dio anche quando questa obbedienza ci rende impopolari in rapporto alla mentalità del mondo e con una certa mentalità religiosa, più protesa a conservare sé stessa che aperta alla novità di Dio.

I sacerdoti e i dottori che interrogano Pietro conoscono bene la storia del popolo, le profezie, la legge, le tradizioni. Eppure in nome di quel Dio che professano hanno messo a morte Gesù e adesso intimano agli apostoli di non parlare e insegnare nel nome di Gesù.

Conoscere la Scrittura ed essere fedeli alle leggi e alle norme, come pure al mantenimento delle tradizioni della comunità alla quale si appartiene, non è sufficiente per riconoscere la salvezza di Dio quando ci provoca nella quotidianità della nostra vita personale e comunitaria.

Obbedire a Dio significa saper fare scelte coraggiose che costano non soltanto nelle grandi occasioni, ma anche nella quotidianità della vita, a cominciare dai piccoli gesti di ogni giorno.

Il nostro mondo, e le nostre comunità cristiane, più che di maestri da seguire, hanno bisogno di testimoni che fanno risplendere la feconda novità di Dio. Testimoni che con la loro obbediente e libera fedeltà al Vangelo, vanno oltre il detto e non detto che caratterizza e condiziona il proprio contesto di vita, dalla famiglia alla città, dalla parrocchia alla comunità religiosa alla diocesi.

La durezza di cuore dei membri del sinedrio sembra presente negli stessi discepoli di Gesù, come appare dalle parole rivolte dal Risorto ai due discepoli di Emmaus: «Stolti, è tardi per capire le cose di Dio» (Lc 24,25).

Il cuore e la mente si induriscono quando, chiusi nelle proprie sicurezze e tradizioni, non si sa ascoltare, non si sa dialogare né con Dio né con gli altri.

Cuore e la mente si induriscono quando si cercano compromessi per mantenere il più possibile lo status quo, identificando la conservazione come l’obbedienza a cui siamo chiamati.

Cuore e mente si induriscono pure quando di fronte a un fratello o una sorella bisognosi di essere sostenuti, anziché chiederci cosa possiamo fare per e con questa persona, evitiamo di cambiare nei nostri ritmi e di mettere a rischio la nostra sicurezza, contraddicendo così la fondamentale chiamata all’amore e alla donazione.

Pietro e gli altri apostoli ci dimostrano che quando lo Spirito agisce, cambiano le persone, i comportamenti e lo scenario di riferimento e la salvezza di Dio si manifesta per noi, per la Chiesa e per il mondo.

Il Signore ci doni il suo Spirito per una rinnovata, obbediente e libera adesione a lui e per una più adeguata percezione di noi stessi, degli altri e del nostro essere comunità in costante cammino verso la pienezza del Regno.

Don Momigli

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