Don Giovanni Momigli

Omelia Badia Fiorentina 10 giugno 2021

Giovedì decima Tempo Ordinario 1: 2Cor 3,15-4,1.3-6   Sal 84   Mt 5,20-26

Non basta appartenere alla Chiesa, e neppure aver fatto scelte anche coraggiose nel nome di Cristo, per essere immuni dall’orgoglio, dall’invidia e dal quel tarlo corrosivo che è la critica distruttiva.

Se anche nei confronti della Legge di Mosè un «velo è steso sul cuore dei figli d’Israele» (2 Cor 3,15), fino a quando non c’è la «conversione al Signore» (2 Cor 3,16), pensiamo come può essere velato, e deformato, il nostro sguardo sul Vangelo, sugli altri e sul mondo a causa dei nostri egoismi e i nostri quotidiani istinti, senza vera e costante conversione.

Già sentire il bisogno di una continua conversione può in qualche modo impedire, o quantomeno limitare, che il nostro io, con le sue piccole o grandi vanità e rivalità, si ponga come velo alla visione del volto di Cristo.

Un volo sul volto di Cristo è un velo sul volto stesso di Dio, perché come lui stesso ha detto a Filippo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Ed è pure un velo sul vero volto dell’uomo.

L’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,27), ma soltanto Cristo è la perfetta «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15). Chi è in Cristo è davvero una nuova creatura.

La predicazione di Paolo, che lui rivendica necessaria per la vita della comunità, si fonda proprio sulla centralità di Cristo: «Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore» (2 Cor 4,5).

Paolo, per parlare della bellezza della predicazione e della vocazione cristiana, che porta a contemplare il volto del Padre in quello di Gesù, si ispira al racconto della creazione: «E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo» (2 Cor 4,6).

Per venire «trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3,18), è dunque necessaria la fruttuosa sinergia tra la contemplazione di Cristo, vivendo una costante e sempre più profonda relazione con lui, e l’apertura all’azione dello Spirito.

Questa trasformazione, essenziale per entrare «nel regno dei cieli» (Mt 5,20), ossia in una nuova dimensione relazionale nella dinamica della relazione trinitaria, non avviene per e con le sole forze umane, ma grazie all’azione dello Spirito.

Superare la giustizia degli scribi e dei farisei (cfr Mt 5,20), ad esempio, non significa essere più giusti di loro, perché loro non lo sono, come se bastasse impegnarsi di più, essere più bravi.

Qui si tratta, invece, di andare oltre, ponendosi a un livello più alto, superiore appunto, per inserirsi nella dimensione dell’amore e orientarsi verso la perfezione chiesta da Gesù: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48).

Gesù non si limita a indicare la meta. Per evitare ogni tipo di astrazione, mostra concretamente come fare per raggiungere questa giustizia superiore. E lo fa con esempi che si ispirano alla legge di Mosè.

Vi è stato detto «non ucciderai…, ma io vi dico» (cfr Mt 5,21-22) che non dovete mancare di rispetto a vostro fratello, né offenderlo e neppure adirarvi con lui. Siamo su un altro livello. Non solo perché le ferite nell’anima sono micidiali, ma perché tutto deve essere collocato sul piano dell’amore.

L’amore non sempre è facile da vivere. È però certamente possibile iniziare a purificare il nostro pensiero, cominciando a pensare al fratello e alla sorella con benevolenza e amore.

Il pensiero di benevolenza e di amore, anzitutto, deve essere portato nella preghiera, come appare chiaro dal riferimento di Gesù a quando ci rechiamo con un’offerta all’altare.

Pur se nel nostro animo non abbiamo risentimenti o tensioni con nessuno, la giustizia superiore chiesta da Gesù esige di non andare all’altare per la lode di Dio, per la celebrazione dell’amore e dell’unità, neppure se si è consapevoli che un fratello o una sorella ha qualcosa contro di noi.

Andare a riconciliarsi è sempre difficile. Ed è ancor più difficile cercare di superare i risentimenti che l’altro può avere con noi. È difficile anche solo pensando alla reazione che può avere l’altra persona.

Ecco perché il primo passo di ogni riconciliazione è la preghiera per lasciarsi plasmare il cuore da Dio, «che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo» (2 Cor 5,18).

Riconciliarsi fra noi, anche solo con un’intesa al ribasso come può essere il mettersi d’accordo per evitare i conflitti quotidiani e una guerra continua, (cfr Mt 5,25), è un passo imprescindibile per ogni vero cammino di conversione a Gesù Cristo e per contemplare nel suo volto la gloria di Dio.

Don Momigli

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