Giovedì tredicesima Tempo Ordinario 1: Gen 22,1-19 Sal 114 Mt 9,1-8
Alla sterilità della coppia Abramo-Sara si contrappone la promessa fatta da Dio ad Abramo: «farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione» (Gen 12,2).
Promessa che sembra realizzarsi con la nascita di Isacco, il figlio del sorriso: «ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?» (Gen 17,17).
Quando Isacco è già fanciullo, però, tutto sembra azzerarsi: Dio chiede ad Abramo di offrirgli «in olocausto» (Gen 22,2) proprio il figlio della promessa.
Quello che Dio effettivamente vuole, come emerge a conclusione del brano, non è il sacrificio di Isacco, bensì verificare in modo definitivo il cuore e la fede di Abramo.
In gioco non c’è solo la questione dei sacrifici umani, anche se questa vicenda di fatto rappresenta un superamento di una pratica crudele, utilizzata in numerose religioni ai tempi di Abramo, quando una comunità vedeva nell’offerta estrema di una vita l’ultima possibilità per attirare la divinità in proprio favore.
Il Dio di Abramo non è come gli idoli muti che gli uomini si costruiscono e che fanno ragionare con le categorie di pensiero proprie del loro tempo, ma è il Vivente che con la sua parola chiede all’uomo di fidarsi di lui e di imparare piano piano a vedere la storia e il mondo con il suo sguardo di amore.
Quando Dio lo ha chiamato (cfr Gen 12,1), per fede Abramo aveva già tagliato con il passato. Adesso sembra che Dio gli chieda di sacrificare pure il futuro, rappresentato dal figlio Isacco.
Pur non descritti, possiamo facilmente immaginare i sentimenti contrastanti che abitano il cuore e la mente di Abramo, anche se obbedisce silenziosamente, senza porre domande, dimostrando di fidarsi di Dio al di là di tutto.
L’adesione incondizionata di Abramo alla volontà di Dio, volontà umanamente incomprensibile, è il segno di una fede che ha raggiunto la sua pienezza e che la Scrittura la propone come modello a tutto Israele e anche a ciascuno di noi.
La fede vera permette di cambiare l’ottica con cui si guarda se stessi, gli altri, la vita e il mondo, facendo vedere le cose con lo sguardo di Dio.
È proprio guardando con gli occhi di Dio che Gesù si rivolge al paralitico, che alcune persone gli hanno portato, dicendo: «Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati» (Mt 9,2).
Lo sguardo di Dio ci fa vedere che il primo e vero male è il peccato, che inquina la relazione tra l’uomo e Dio, con conseguenze anche tragiche sulla relazione con gli altri, con il creato e anche con sé stessi.
Le parole di Gesù non rispondono a quello che tutti si aspettavano, ossia la guarigione, e non sappiamo cosa avranno pensato il paralitico e le persone che lo hanno accompagnato. Matteo annota soltanto che alcuni scribi dicevano fra loro: «Costui bestemmia» (Mt 9,3).
È vero che solo Dio può perdonare i peccati e che la guarigione spirituale è difficile da verificare senza segni esterni. Ma è anche vero il perdono accolto con un pentimento sincero porta con sé conseguenze evidenti e tangibili nella vita della persona perdonata.
L’incontro con Gesù cambia la vita interiore ed esteriore. Una volta che ci ha rimesso in piedi, non dobbiamo più farci “portare”: il paralitico «si alzò e andò a casa sua» (Mt 9,7) portando il letto sul quale era steso.
Difficilmente, però, può cambiare qualcosa se ci si accosta al sacramento della misericordia per semplice abitudine o anche consapevoli del proprio peccato, ma senza il necessario pentimento e un serio impegno per camminare su una via diversa.
Gesù, «vedendo la loro fede» (Mt 9,1), perdona i peccati al paralitico e lo guarisce. Non sappiamo se la fede ce l’hanno coloro che lo hanno accompagnato o ce l’ha anche il paralitico.
Con la propria fede e la propria carità, chi crede è chiamato è chiamato ad «essere una benedizione» (Gen 12,2); è chiamato a portare a Cristo il dolore del mondo e a portare l’annuncio e l’amore di Cristo nel mondo.
Come sono state una benedizione e anello di congiunzione le persone che hanno portando da Gesù il paralitico e Giairo che ha portando Gesù dalla figlia ormai morta (cfr Mc 5, 21-24.35b-43), la fede in Cristo ci rende benedizione e cerniera di congiunzione per la guarigione dell’anima e del corpo dei fratelli e delle sorelle che il Signore pone sul nostro cammino.