Don Giovanni Momigli

Omelia Assunzione della Beata Vergine Maria – Giovedì 15 agosto 2024

Assunzione della Beata Vergine Maria (Ap 11,19; 12,1-6.10   Sal 44   1Cor 15,20-26   Lc 1,39-56)

Maria è ricordata per l’ultima volta nel Nuovo Testamento all’inizio del libro degli Atti, mentre si trova in preghiera con gli apostoli e gli altri membri dalla prima comunità cristiana (At 1,14). I testi canonici, poi, non riportano più nessuna notizia: non sappiamo dove abbia trascorso gli ultimi anni della sua vita e neppure come e quando sia morta.

Solo a partire dal VI secolo iniziano diffondersi numerose ipotesi, riconducibili a un unico tema: la Dormizione della Madonna, come ancora oggi, in Oriente, viene denominata l’attuale festività dell’Assunzione della Beata Vergine Maria.

Per non perdersi in ipotesi fantasiose, è però necessario fare chiarezza.  Pio XII nel definire il dogma da cui è scaturita la festa di oggi, non dice “assunta in cielo” – come se ci fosse stato uno spostamento nello spazio o un “rapimento” del suo corpo dalla tomba verso la dimora di Dio – ma «assunta alla gloria celeste». La “gloria celeste” non è un luogo, ma uno status, una condizione nuova.

Maria non è andata né è stata trasportata in un altro posto, portando con sé le fragili spoglie che sono destinate a tornare polvere; non ha abbandonato la comunità dei discepoli che continuano a camminare pellegrini in questo mondo. Maria è entrata nella pienezza di vita, mutando il modo di essere presente, similmente a quanto avvenuto a Gesù Cristo dal giorno di Pasqua.

Maria, «serva del Signore» (Lc 1,38), è presentata oggi a tutti i credenti non come una creatura privilegiata, ma come il segno del destino che attende ogni donna e ogni uomo che crede nel Signore risorto.

Come figurativamente espresso nel libro dell’Apocalisse, nel mondo si confrontano in modo drammatico le forze della vita e della morte. Sembra una lotta inutile, perché alla fine la morte agguanta sempre la sua preda. Ma agguantandola distrugge sé stessa, come annuncia l’apostolo Paolo: «Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1Cor 15,20).

La festività dell’Assunta ci parla, in modo strettamente connesso e interdipendente, di morte e di vita: l’assunzione viene dopo la morte e, tuttavia, rappresenta la sconfitta della morte e prospetta una salvezza che coinvolge tutto il nostro essere, anima e corpo.

La festa di Maria “assunta alla gloria celeste”, è per noi un richiamo all’essenza della fede cristiana, che si fonda proprio nella risurrezione di Cristo.

Secondo una ricerca del 2014 sull’analfabetismo religioso in Italia «ben pochi sono in grado di cogliere qualche differenza fra risurrezione e reincarnazione». A dieci anni di distanza le cose sono tutt’altro che migliorate.

L’analfabetismo religioso insieme a un certo tipo di devozionismo, contribuiscono ad aumentare la confusione, soprattutto sulle questioni essenziali.

La confusione evidenziata dalla ricerca, infatti, non riguarda argomenti di poco conto, ma il fondamento del cristianesimo.

La risurrezione di Cristo è il fondamento della fede cristiana, tanto da far dire a Paolo: «se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1Cor 15,14). La stessa liturgia si fonda e ruota intorno al mistero pasquale di morte e risurrezione del Signore Gesù. E il cristiano o crede ed è testimone della risurrezione o non è cristiano, anche se devoto praticante.

Celebrare la festa di Maria «assunta alla gloria celeste», ci parla della risurrezione della persona, non certamente dell’anima di Maria che dopo la morte del corpo, come afferma la dottrina della reincarnazione, continua a vivere in un altro corpo, come se il corpo fosse un involucro ininfluente nella costruzione della personalità,

Siamo un’unità. La nostra personalità è data da tutto quello che siamo, anima e corpo. Ed è l’intera nostra personalità che, in Cristo risorto, è chiamata alla risurrezione e alla vita piena.

Ecco perché la nostra esistenza non può essere ridotta al solo orizzonte materiale delle necessità quotidiane e neppure staccarsi da esse per inseguire astrattamente presunte esigenze della sola anima.

Nella sua vita Maria ha «creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45). E questa fede l’ha portata a dire il suo sì a Dio, che attraverso l’angelo le ha chiesto la disponibilità a diventare la madre del suo Figlio. Ed è questa stessa fede che le ha consentito di condividere la vittoria del Figlio sulla morte e di essere per noi «segno di sicura speranza e consolazione» (Prefazio),  in quanto siamo chiamati alla stessa gloria.

Don Momigli

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