Solennità di Maria Madre di Dio (Nm 6, 22-27 Sal 66 Gal 4,4-7 Lc 2,16-21)
La conclusione di un anno è sempre occasione di bilanci e, più profondamente, ci porta a riflettere sul nostro passaggio su questa terra, risvegliando domande essenziali: la vita ha un senso e una prospettiva oppure viene dal caso e finisce nel nulla? Se pensiamo finisca nel nulla ha anche poco senso festeggiare il passare del tempo.
Il canto del Te Deum, che faremo alla fine della celebrazione, è motivato dalla fede in Gesù Cristo e nella vita eterna. Come afferma Paolo: in Cristo, Dio Padre ci «ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità» (Ef 1,4).
Cantare il Te Deum, quindi, non significa dire che nel 2024 è andato bene. Tutti, pur in misura diversa, abbiamo affrontato avversità di vario tipo. Tutti conosciamo persone che, nel corso dell’anno, la morte ha strappato, a volte in modo drammatico e repentino, all’affetto dei suoi cari. E tutti siamo consapevoli delle molte tragedie, in primis le guerre, che hanno messo a dura prova molte popolazioni, producendo morti, profughi, devastazioni e alimentando il vento nelle vele dell’odio tra persone e popoli.
Il motivo primo da cui scaturisce la lode e la gratitudine è la fede nel Verbo che si è fatto carne, che con il suo amore ci sta vicino per sostenerci, ci sta davanti per guidarci, ci sta dietro per proteggerci, specialmente dai molteplici inganni del demonio.
Sulla mia scrivania c’è una piccola clessidra, acquistata anni fa a Boccadirio, in occasione di un pellegrinaggio al Santuario della Beata Vergine delle Grazie.
A volte mi soffermo ad osservare la parte superiore mentre i granellini di sabbia scendono lentamente fino a svuotarla. Altre volte mi soffermo sulla parte inferiore, che piano piano si riempie. Se la parte superiore può rappresentare il tempo che, inesorabilmente, passa fino ad esaurirsi, la parte inferiore può benissimo rappresentare quello che umanamente rimane di noi: polvere.
Alla luce della fede in Gesù Cristo, che ci dona un modo nuovo di percepire il tempo, possiamo guardare la clessidra – e lo scorrere del tempo – in modo diverso.
La sabbia contenuta nella parte superiore può rappresentare il dono della vita, da vivere, per il tempo concessoci, con responsabilità e compassione per gli altri. La parte inferiore può farci riflettere su come abbiamo vissuto ogni istante della nostra vita, sull’impronta che lasciamo di noi e su come ci presentiamo all’incontro col Signore.
Nella dimensione del tempo, la fede assume la forma della speranza, rendendoci capaci di amore e costruttori di futuro. Si può essere costruttori di futuro se abbiamo una meta alta, se abbiamo una prospettiva che trascende il qui e ora, e anche il domani, per proiettarsi nell’eternità.
La speranza è alla base della possibilità di cambiare le cose e di operare e lottare per quello che ci sta a cuore. La speranza ci parla di ciò che non c’è ma che, allo stesso tempo, è intimamente presente nel tessuto di ogni progetto e di ogni attività che svolgiamo insieme agli altri, per rendere più umano il mondo.
La speranza cristiana si fonda nella certezza di fede che, in Gesù Cristo, siamo diventati figli di Dio e, in quanto figli, anche eredi per «grazia di Dio» (Gal 4,7), come afferma Paolo nella seconda lettura.
Il Giubileo, che papa Francesco ci invita a vivere come pellegrini di speranza, esige anzitutto un cammino interiore, un pellegrinaggio che ci porta a vedere Gesù, a cercare con lui un incontro vivo e vero e a testimoniare con gioia quanto vissuto.
Come hanno fatto i pastori, di cui parla il Vangelo di oggi, dopo aver contemplato il bambino che è nato per noi, possiamo tornare alle nostre case e alle nostre occupazioni – e pure festeggiare la fine di un anno e l’inizio di quello nuovo – glorificando e lodando Dio per averci donato suo Figlio.
Nonostante le difficoltà e le nubi oscure che il mondo sta attraversando, ci apriamo al nuovo anno forti della benedizione del Signore che fa risplendere per noi il suo volto, ci fa grazia e dona pace (Nm 6,22-27) e nella certezza espressa dalle ultime parole del Te Deum: Signore, «Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno».