Solennità di Tutti i Santi (Ap 7,2-4.9-14 Sal 23 1Gv 3,1-3 Mt 5,1-12)
Con la solennità di Tutti i Santi, la Chiesa ci invita a contemplare la città del cielo, verso la quale siamo tutti incamminati.
La santa Gerusalemme, come la Scrittura chiama la dimora eterna, è abitata da «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (Ap 7,9). Una moltitudine composta da coloro che sono «segnati con il sigillo» (Ap 7,4) e da quelli «che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (Ap 7,14).
In questo giorno, lo sguardo e il cuore vengono indirizzati alle tante persone che hanno camminato sulla terra affrontando difficoltà e tentazioni simili alle nostre e che ora contemplano il volto di Dio.
Nel corso della loro esistenza, anche i santi hanno conosciuto il peccato, sono stati impazienti, pigri, orgogliosi; hanno gioito delle piccole cose e di quelle grandi; hanno vissuto momenti di crisi, conosciuto successi e insuccessi.
Sono santi non perché non sono mai stati travolti dalle passioni del mondo o perché nella loro vita hanno fatto tutto bene, ma perché hanno confidato nel Signore. Nonostante gli errori, le deviazioni e le cadute, hanno avuto l’umiltà e il coraggio di rialzarsi e riprendere il cammino con speranza, confidando pienamente in Gesù Cristo e mettendosi in gioco con e nella relazione consapevoli che Dio è amore e che non ci può essere amore, e neppure santità, senza aprirsi all’altro.
Sicuramente, fra le persone che stanno «davanti al trono e adorarono Dio dicendo: “Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen”» (Ap 7,9-10), ci sono persone che abbiamo frequentato: persone con le quali siamo stati uniti da legami di sangue o da una relazione di amicizia, di affetto, di amore e anche persone che ci sono state antipatiche o con le quali abbiamo avuto divergenze e conflitti.
Senza la speranza la vita perde una dimensione essenziale. La festa dei Santi ci fa riflettere proprio sulla speranza, stimolando interrogativi su noi stessi: abbiamo speranza; cosa è per me la speranza; in cosa o in chi spero. E ancora: Dov’è ancorato il mio cuore? Dove sto andando? Cosa cerco, il benessere o la felicità?
Gesù Cristo non ha promesso il benessere, ma quella gioia e quella beatitudine che trovano la loro sorgente nella comunione con Dio e che danno uno scopo che rende la vita degna di essere vissuta.
Il fondamento della speranza che accompagna e guida il credente viene bene espresso dalla prima lettura: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce. … Siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è» (1 Gv 3,1-2).
Dopo aver detto che saremo come egli è, l’Apostolo Giovanni aggiunge: «Chiunque ha questa speranza in lui, purifica sé stesso, come egli è puro» (1 Gv 3,.3). La speranza in Gesù Cristo e di vedere Dio faccia a faccia è fonte di purificazione e rende più spedito il nostro cammino.
La speranza, se cristiana, non è mai astratta, non solo perché ha un volto e un nome: Gesù Cristo. Ma anche perché influisce concretamente nella vita di tutti i giorni: è investimento sul futuro che porta a vivere il presente con responsabilità e creatività: ci parla di ciò che, pur non essendoci ancora, è intimamente presente nel tessuto di ogni progetto e di ogni attività che iniziamo e portiamo avanti con convinzione. La speranza è alla base di ogni intrapresa e di ogni lotta per cambiare le cose.
La festa dei Santi ci fa contemplare la meta del nostro pellegrinaggio terreno. Guardare alla meta sostiene e orienta il nostro cammino e ci fa evitare di ridurre tutto al qui e ora, come sottolinea l’apostolo Paolo: «Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (1Cor 5,19).