Carissimi,
per accompagnare e rendere proficuo questo periodo estivo, ho pensato di riproporre quanto detto da Papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa, aggiungendo in conclusione una mia riflessione personale.
Invitando gli apostoli, appena tornati dalla missione, a riposarsi un poco andando con lui «in disparte…in un luogo deserto» (cf Mc 16,30-32), Gesù li mette in guardia «da un pericolo, che è sempre in agguato anche per noi: Il pericolo di lasciarsi prendere dalla frenesia del fare, cadere nella trappola dell’attivismo, dove la cosa più importante sono i risultati che otteniamo e il sentirci protagonisti assoluti…guardiamoci fratelli e sorelle, dall’efficientismo, fermiamo la corsa frenetica che detta le nostre agende. Impariamo a sostare, a spegnere il telefonino, a contemplare la natura, a rigenerarci nel dialogo con Dio».
Anche per quanto riguarda le attività all’interno della chiesa: «siamo indaffarati, corriamo, pensiamo che tutto dipenda da noi e, alla fine, rischiamo di trascurare Gesù e torniamo sempre noi al centro».
Il riposo di cui abbiamo bisogno non è solo fisico: «è anche riposo del cuore. Perché non basta “staccare la spina”, occorre riposare davvero. E come si fa questo? Per farlo, bisogna ritornare al cuore delle cose: fermarsi, stare in silenzio, pregare, per non passare dalle corse del lavoro alle corse delle ferie».
Al di là delle intenzioni, però, Gesù e i discepoli non possono riposare: la folla li ha preceduti e «il Signore si muove a compassione… Lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza».
Vicinanza, compassione e tenerezza di cui pure noi siamo capaci, come è stato dimostrato anche nei momenti duri della pandemia, ma che non sembrano caratterizzare lo stile di vita quotidiano.
Troppo spesso, infatti, verifichiamo che la positività delle relazioni interpersonali cede il passo ai rapporti egocentrici e funzionali; che ci sentiamo cittadini quando c’è da rivendicare un diritto e cristiani quando vogliamo chiedere un sacramento; che il senso di appartenenza alla comunità e la responsabilità sociale sono sempre più rarefatti; che il sistema sociale ed economico è fondato su un individualismo estremo, una competizione senza regole e sull’idolo della finanza.
Per ritrovare il senso umano e cristiano della vita, che esige la dimensione relazionale e comunitaria, occorre un forte cambiamento, una rigenerazione dentro la chiesa e nella società. A livello personale e comunitario, vanno ricostruite dalle fondamenta relazioni vere: con noi stessi, con Dio, con gli altri e con la nostra casa comune.
Assicurando a tutti la vicinanza della mia preghiera, saluto con particolare affetto le persone provate dalla malattia, dalla fragilità dei rapporti familiari, dalla morte di una persona cara, dalla mancanza di lavoro e tutte quelle persone che portano nel loro cuore la pesantezza delle ferite della vita.
don Giovanni
La Nazione ha riportato parte della lettera: La Nazione 30-7-21