Don Giovanni Momigli

Le religioni e il culto dell’economia – 28 novembre 2024

Nell’ambito della IX edizione del Festival Economia e Spiritualità, che ha per tema “Capitalismo come religione”, il 20 novembre, presso la Sala Consiliare del comune di Scandicci, si è svolto l’incontro su: Le religioni e il culto dell’economia. Hanno partecipato: Rav. Gadi Piperno, Rabbino capo di Firenze; Izzedin Elzir, Imam di Firenze; don Giovanni Momigli, Direttore dell’Ufficio Problemi Sociali e Lavoro Arcidiocesi di Firenze.

Schema intervento don Giovanni Momigli

Luigino Bruni, concludendo il Concept per questa IX ed. Festival di Economia e Spiritualità, afferma: «Per superare la religione/idolatria capitalistica oggi occorrono nuove prassi, nuove esperienze. Non basta scrivere libri e articoli, non è sufficiente costruire teorie, perché anche la nuova cultura economica (che in tanti vogliamo più umana, più inclusiva, circolare) nascerà dalla prassi e dal pane quotidiano».

È proprio la prassi quotidiana, sganciata da ideali forti, che ha permesso all’economia capitalistica di trasformarsi in religione, legando a sé gli stili di vita e le espressioni cultuali delle persone. Per di più in nome della libertà.

Già nell’ottobre 1981, nel documento “La Chiesa italiana e le prospettive del Paese”, i vescovi italiani affermavano: «Il consumismo ha fiaccato tutti. Ha aperto spazi sempre più vasti a comportamenti morali ispirati solo al benessere, al piacere, al tornaconto degli interessi economici o di parte» (11).

In questi decenni abbiamo vissuto un percorso impercettibile, ma drammatico, verso il mondo dell’io che ha generato una visione dell’uomo e della donna come individui isolati.

Plasmati dal consumismo e dalla cultura dell’io, non si cerca più chi lavora per il bene comune e ci si accontenta della proposta di un leader che promette di migliorare la nostra condizione. Salvo poi cambiare o disilluderci perché non ci è stato dato quanto promesso.

La stessa dimensione religiosa viene vissuta in modo fortemente individuale ed egoistico, rendendo fragile la vita comunitaria e generando isolamento e indifferenza.

«Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente» (EG, 2).

La fede senza coscienza critica scade nel fondamentalismo o nel bigottismo e la razionalità senza una spiritualità relazionale diventa fredda, limitata e limitante. E poi ci si focalizza sulle cose non essenziali, anziché sul’essenza.

Se si guarda solo a sé stessi, la via della spiritualità conduce al narcisismo religioso e la vita diventa infeconda ed esposta a ogni genere di degenerazione.

L’esperienza ci parla di un certo devozionismo, caratterizzato dalla ripetizione – potremmo dire: consumazione – di riti visti e vissuti come se avessero valore in sé stessi, spesso frutto e causa della mancanza della dimensione comunitaria della fede e di una vera e propria spiritualità. E senza una profonda spiritualità si rimane in balia del vento del momento.

La sfida principale per il cristianesimo di oggi è il cambiamento di rotta dalla religione alla spiritualità. Lo scopo della spiritualità cristiana è far sì che diventiamo sempre più permeabili allo Spirito di Gesù Cristo, esattamente il contrario della impermeabilità che caratterizza quei praticanti che ricercano una spiritualità appagante.

La maggioranza delle persone non sono cattive, ma chiuse, individualiste, indifferenti. Più o meno, ci accontentiamo di ideali di basso profilo, non veniamo attratti e più coinvolti da ideali alti. Non facciamo più grandi sogni.

Chi vive una certa inquietudine è più disponibile all’ascolto, a interrogare sé stesso, a fare qualche passo, a coltivare ideali alti e a fare grandi sogni ed a vivere prassi quotidiane che possono davvero rappresentare un’alternativa concreta all’idolatria rappresentata dal consumo.

L’impegno e la testimonianza personale sono sicuramente necessari, ma non sufficienti. Occorre investire in socialità. Solo insieme si può resistere. Solo insieme si possono avviare quei cambiamenti di prassi e di mentalità che occorrono per effettuare un effettivo cambiamento di paradigma.

Se manca la disponibilità a rinunciare almeno a qualcosa di quello che ci viene proposto dal consumo, il nostro convenire, anziché spingerci verso quella radicalità che ha mosso Abramo, comune Padre nella fede, rischia di trasformarsi in una veglia che prepara uno dei riti più importante del consumo, essendo domani il Black Friday 2024.

Per uscire dalla terra del consumo occorre fidarci. E per fidarci è necessaria una spiritualità forte e un ‘etica solida.

Don Momigli

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