«Vangelo e città. Cristiani e cittadini» di don Giovanni Momigli
La difficile arte di non censurare le domande scomode.
Articolo pubblicato da L’Osservatore Romano del 28 maggio 2025
Pubblichiamo stralci dalla prefazione che l’arcivescovo metropolita di Firenze ha scritto al libro «Vangelo e città. Cristiani e cittadini» di don Giovanni Momigli (Padova, Edizioni Messaggero Padova, 2025, pagine 220, euro 21).
di Gherardo Gambelli
Nella società “accelerata” in cui siamo immersi, troppo facilmente trascuriamo il valore degli interrogativi che la complessità del rapporto con la realtà suscita in ciascuno di noi a più livelli. In questo modo il nostro sguardo perde come di profondità rischiando di lasciarci preda — più che di azioni — di mere reazioni dominate per lo più da paura e senso d’impotenza.
Non è immune a tutto questo la stessa realtà ecclesiale: ne sono espressione tanto l’arroccarsi di chi nei confronti del mondo non riesce a immaginare altro che un ruolo oppositivo, di auto-difesa, quanto quelle forme di continua autocritica ecclesiastica che si risolvono, nella maggior parte dei casi, in nuove forme di autoreferenzialità lontane, ancora una volta, dalle ferite, dalle inquietudini e dai bisogni delle donne e degli uomini del nostro tempo. (…) Oltre la coltre di una superficiale indifferenza permane, infatti, al cuore di ogni uomo e ogni donna una reale aspirazione alla giustizia, al bene, alla bellezza come alla piena libertà e alla possibilità di vivere relazioni di reale fraternità umana.
Leggendo queste pagine, suggerisco al lettore di soffermarsi sulla positiva e schietta apertura alla realtà a cui l’autore invita. Come scrive: «È in questo tempo, e non in un altro, che il Signore ci sta facendo vivere e ci chiede di abitarlo accettando la sfida della complessità, “perché tutti possano abitare il mondo con dignità”».
Solo accettando questo rapporto franco con la realtà si potrà riconoscere, da un lato, come a livello ecclesiale «molte nostre azioni [siano] ininfluenti, in quanto non sono più agganciate al reale vissuto delle persone» e, dall’altro, il valore determinante per tutta la realtà ecclesiale dell’esperienza di coloro che rischiano nuove strade, che non temono di confrontarsi con la complessità esplorando possibilità un tempo inedite ma oggi necessarie.
Come leggiamo in queste pagine, infatti, «serve (davvero) una pluralità di esperienze, tutte tese a scoprire Dio in modo nuovo e a vivere creativamente la dimensione sociale della persona e della fede».
In questo senso uno dei grandi contributi che, come Chiesa in cammino, siamo chiamati a portare per tutti in questo «cambiamento d’epoca» è quello educativo. Dove «la questione educativa» scrive giustamente l’autore «rimanda a un contesto di esperienza, a un modo di abitare la realtà» come, allo stesso tempo, a un rinnovato modo di vivere la fede, più grande delle nostre idee o schemi: «non bastano le parole (…) deve essere esperienziale» e questo può essere possibile solo laddove ci si imbatta in donne e uomini che testimonino «che un altro modo di vivere (…) la fede è possibile».
Si tratta, quindi, di un invito a superare ogni atteggiamento vittimistico o di lamento, riguadagnando quello sguardo aperto, spalancato alla realtà, che per ogni cristiano scaturisce dalla certezza che Dio in Gesù è voluto entrare nella storia, nell’umano, rendendo così la realtà il luogo del sempre possibile incontro con l’Emmanuele, il Dio-con-noi.
In questo senso, l’autore rifiuta nettamente le retoriche catastrofistiche da fine del mondo, nelle quali si nasconde una pericolosa disistima nei confronti dell’umano, che si manifesta spesso in un’accusa alle giovani generazioni di radicale indifferenza.
Quella che noi percepiamo come indifferenza è il segno, piuttosto, del fatto che nella maggior parte dei casi i giovani non hanno ancora intercettato qualcosa in grado di entrare seriamente in dialogo con le loro inquietudini e i loro interrogativi: i motivi di questo “mancato incontro” costituiscono un punto fondamentale da cui lasciarsi interrogare come Chiesa a ogni livello.
L’autore tenta così di ribaltare in queste pagine i paradigmi delle letture disfattiste e proprio davanti alla presunta impermeabilità dei ragazzi egli propone uno sguardo diverso.
«A differenza di noi adulti, che spesso ci poniamo e facciamo domande banali, che non rispondono alla verità di quello che realmente c’è nel profondo di noi stessi, i giovani, sia pur con atteggiamenti e modalità non sempre facili da interpretare, non hanno timore a mettere a nudo le loro inquietudini e a porre domande».
Tuttavia, solamente laddove gli adulti siano seriamente impegnati con le domande che la realtà suscita in loro stessi, con quello che c’è «nel profondo», potranno stimare e accogliere le domande e le inquietudini dei giovani, entrare in ascolto e in dialogo con essi.