L’incontro si è tenuto giovedì 3 giugno, nei locali della parrocchia di Santa Maria a Scandicci.
Schema di introduzione tenuta da don Giovanni
Tutti siamo chiamati a “edificare la chiesa”. Non tutti, però, possiamo impegnarci allo stesso modo, ma secondo la propria vocazione, le proprie caratteristiche personali e la varietà di servizi e di attività: «come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri» (Rom. 12, 4-5).
Il cammino ecclesiale richiede dedizione di cuore e unità di intenti, nel discernimento delle vocazioni, dei doni e dei carismi. Ciascuno è chiamato a porsi al servizio di un disegno che va oltre lui, oltre ciascuno di noi, anche se mostra il suo volto attraverso il “noi ecclesiale”. Ciascuno è strumento umile e necessario, chiamato da Dio per il bene comune.
In questa logica, la parrocchia, comunità di fede e di comunione aperta al mondo, è chiamata a un profondo rinnovamento di mentalità e di azione, a una vera e propria rigenerazione.
Parlando della parrocchia, in Evangelii gaudium 28, papa Francesco afferma: «La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà ad essere «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie». Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a sé stessi. La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione. Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione È comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario. Però dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione.
Tenendo presente l’indispensabile necessità di avviare un ripensamento del nostro essere parrocchia, nella mia prima omelia ho detto che avremmo dovuto «Osare e sperimentare, con saggezza e coraggio, percorsi e modi nuovi e diversificati di annuncio e di presenza, è una sfida che interpella ogni comunità cristiana, specialmente nella fase storica che stiamo vivendo, più simile al tempo della semina che al periodo del raccolto. Una sfida che cercheremo di affrontare insieme con un’attenta lettura della realtà in cui viviamo e alla luce del magistero del Papa e del Vescovo, del nuovo “Direttorio per la Catechesi” e dell’Istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”, per divenire sempre più centro propulsore «dell’incontro con Cristo» (cfr Istruzione, 3).
La pandemia non ci ha concesso di camminare come avremmo voluto, ma in un certo senso – con i drammi e le sofferenze che ha causato e il distanziamento fisico che è diventato pericolosamente distanziamento interpersonale e sociale – ha fatto emergere in modo ancor più evidente la necessità di una pastorale essenziale che punti all’essenziale.
In questa essenzialità c’è certamente il recupero della fraternità e della comunione e della dimensione ecclesiale di ogni nostra attività, riscoprendo la priorità del kerygma – l’annuncio della morte e risurrezione del Signore – su ogni altra forma di comunicazione della fede.
Priorità del kerygma, significa porre al centro la parola di Dio e coltivare una vita spirituale e caritativa come dimensione personale e comunitaria, lontano sia dall’astratta nebulosità sia dal pragmatismo devozionale e operativo, che rischiano di focalizzare sul qui e ora, facendo perdere senso e orizzonte.
Lo stile permanente che caratterizza la comunione ecclesiale è quello della sinodalità. Non un sinodo, ossia un momento racchiuso in un tempo più o meno lungo, ma un quotidiano cammino insieme, che esige modalità capaci di far incontrare quello che nasce dall’alto e quella che nasce dal basso.
Per questo sono necessari luoghi e tempi di ascolto reciproco, per far incontrare e confrontare il pensare e il sentire del papa e dei vescovi con il pensare e il sentire della gente. Non solo dei praticanti. L’ascolto è vero quando si riesce ad arrivare dove di solito non si arriva, ad interagire con chi di solito non si interagisce.
La difficoltà a pensare con il “noi ecclesiale”, nasce anche dal fatto che la crisi del noi è sociale, prima che essere ecclesiale. È la società a trasmettere il primato dell’io sul noi. E a livello ecclesiale, anziché contrastare questa tendenza praticando la comunione che deriva dalla dimensione sociale delle fede, ci siamo via via adeguati.
Il modo con cui pensiamo e viviamo le varie attività lo dimostrano: tese più alla prestazione che alla relazione.
All’interno di questo cammino più ampio, si pone anche una riflessione sulla Caritas. Compresa la Caritas parrocchiale.
«L’amore del prossimo radicato nell’amore di Dio è anzitutto un compito per ogni singolo fedele, ma è anche un compito per l’intera comunità ecclesiale, e questo a tutti i suoi livelli: dalla comunità locale alla Chiesa particolare fino alla Chiesa universale nella sua globalità». (cfr. Deus Caritas Est, 20).
La Caritas parrocchiale è l’organismo pastorale istituito per animare la parrocchia, con l’obiettivo di aiutare tutti a vivere la testimonianza, non solo come fatto privato, ma come esperienza comunitaria, costitutiva della Chiesa.
L’idea stessa di Caritas parrocchiale esige, pertanto, una parrocchia “comunità di fede, preghiera e amore“, una comunità che vive la comunione ecclesiale.
Questo non significa che non può esserci Caritas dove non c’è questa “comunità”, ma le poche o tante energie della Caritas debbono essere investite attivamente nella costruzione della “comunità di fede, preghiera e amore”. Il primo scopo, anche della Caritas è costruire relazioni comunitarie.
La testimonianza comunitaria della carità è, insieme, la meta da raggiungere e un mezzo necessario, per costruire la comunione ecclesiale.
Ogni parrocchia, che è volto della Chiesa, concretizza la propria missione attorno all’annuncio della parola, alla celebrazione della grazia, alla testimonianza dell’amore.
La Caritas parrocchiale è espressione della comunità parrocchiale, non ne sostituisce la responsabilità. La Caritas parrocchiale, presieduta dal parroco, aiuta il parroco per l’animazione alla testimonianza della carità più che su quello operativo di servizio ai poveri. Aiuta il parroco, non sostituisce il parroco.
L’obiettivo principale è partire da fatti concreti – bisogni, risorse, emergenze – e realizzare percorsi educativi finalizzati al cambiamento concreto negli stili di vita ordinari dei singoli e delle comunità/gruppi, in ambito ecclesiale e civile (animazione).
A settembre inizieremo dei percorsi per arrivare alla costituzione di un Centro di Ascolto Parrocchiale, per rendere le relazioni più vicine alle persone e capaci di coinvolgere di più la comunità. Il Centro di Ascolto Parrocchiale non sostituisce quello vicariale, ma lo arricchisce con la propria specificità.