clicca qui per il TESTO PDF INTERVISTA A LA NAZIONE 6-6-21
Trascrizione:
«Questo modello di sviluppo è sbagliato». «Non è solo un problema di turismo», allarga il tiro don Momigli: «Occorre ritrovare il senso del noi con un nuovo patto di collaborazione»
FIRENZE Don Giovanni Momigli, direttore dell’ufficio problemi sociali e lavoro della diocesi di Firenze: alla luce della pandemia il modello di sviluppo globalista del turismo di massa è ancora valido? «Non solo quello del turistico, ma il modello di sviluppo che ci ha guidato e ancora sembra guidarci era già errato prima della pandemia. Basta pensare alle dicotomie gravi che ha prodotto, come la valorizzazione della finanza e della rendita, anziché dell’economia reale e del lavoro e il costante aumento delle disuguaglianze. Il modello turistico praticamente coltivato, anche se a parole criticato, si è innescato in una visione che privilegia la quantità sulla qualità. Perfino la riuscita di alcuni progetti per la valorizzazione di opere d’arte è stata valutata più in base al numero dei visitatori che alla qualità della visita, che non può ridursi a un semplice passaggio senza il tempo per coglierne la bellezza».
Come si cambia? «Questo modello ha anche prodotto posti di lavoro. Il cambiamento, necessariamente graduale, esige un accompagnamento attento di molti operatori che si troveranno a subire sulla loro pelle questo necessario e doveroso cambiamento».
Come si può invece migliorarlo tenendo conto della convivenza con le chiese monumentali e la storia di Firenze? «Occorre anzitutto domandarsi quali sono stati i valori e le sinergie che hanno originato e accompagnato la creazione di opere come quelle che hanno reso Firenze quel che è nel mondo. Servono valori e sinergie per guidare le nostre relazioni e le nostre scelte, dall’urbanistica al sociale, dall’economia all’interazione tra ambiti e territori. Occorre ridare spazio alle funzioni di base di una comunità, rilegando lavoro, residenza, servizi, spazi per la comunità. Sono necessarie buone infrastrutture, attenzione alla rigenerazione urbana, alla sostenibilità ambientale, al sostegno del lavoro e all’economia locale. Ma è altrettanto necessario riscoprire la centralità della persona e coltivare la dimensione umana».
La Chiesa come si colloca in questo processo? «La diocesi da tempo sostiene la necessità di ritrovare il senso del ’noi’, attraverso un nuovo patto di collaborazione fra i vari soggetti in campo, la valorizzazione di tutte le potenzialità del territorio e l’attivazione delle risorse umane, civili, morali, spirituali, intellettuali ed economiche necessarie per costruire insieme lavoro dignitoso, sviluppo, valore sociale, prossimità, solidarietà».
Quale è il nostro contributo? «Tutti siamo chiamati a metterci in gioco, per essere protagonisti del proprio futuro e di quello collettivo, contribuendo a costruire una comunità sempre più viva, inclusiva, coesa e anche efficiente e positivamente competitiva. La chiesa, a tutti i livelli, è fortemente impegnata nel rendersi presente alle persone e alle famiglie che, con la pandemia, in numero sempre maggiore si trovano in difficoltà. Ma c’è anche, con la sua dottrina sociale, per contribuire a sviluppare una riflessione alta, necessaria per ripensare il modello di sviluppo e individuare un orizzonte condiviso e una direzione di senso, per orientare e tenere insieme i comportamenti di tutti sul piano economico, politico e sociale e per favorire scenari veramente innovativi».
Fabrizio Morviducci