La Nazione 16 aprile 2024
Don Giovanni Momigli ricorda il primo simbolo della comunità cinese «Lui fu determinante per bloccare la rivolta nel 2016 all’Osmannoro»
di Fabrizio Morviducci
FIRENZE C’è stato un momento, agli inizi degli anni ’90, in cui la Cina non solo era vicina, ma praticamente era nella porta accanto tra Firenze, Prato e area metropolitana. Uno momento caotico, un’immigrazione in forze, fortemente illegale, difficile anche da digerire per i fiorentini che si trovarono all’improvviso a fare i conti con un’integrazione complicata, a lungo anche ritenuta impossibile. Shao Wu Chang, ribattezzato Armando, scomparso pochi giorni fa a 71 anni (il funerale domenica a Pistoia celebrato da don Momigli che lo aveva anche battezzato) fu tra le persone che decisero di aprire un ponte tra le comunità, portando avanti nel tempo azioni concrete per tenere insieme le comunità e favorire la convivenza. Un altro dei protagonisti di quella stagione fu proprio don Giovanni Momigli, oggi proposto di Scandicci ma allora parroco di San Donnino, frazione del comune di Campi Bisenzio, e vera trincea dell’immigrazione di massa dalla Grande Muraglia.
Don Momigli, negli anni ’90 avete fronteggiato un’emergenza vera. «Le persone come Armando erano facilitatori naturali della integrazione tra le comunità. Insieme a lui, all’allora sindaco di Campi, Adriano Chini, cercammo ponti, aprimmo porte di convivenza. Armando in questo era bravissimo, e da San Donnino partirono buone pratiche anche per Firenze e soprattutto Prato». Poi cosa è successo? «E’ successo che è finita l’emergenza. E semplicemente siamo passati all’emergenza successiva. Non ci sono più occasioni di confronto, per amalgamare le comunità. Abbiamo un’integrazione economica è vero. Ma quella che conta di più, quella sociale, è ancora lontana dall’essere realizzata».
Quanto pesa la scomparsa di Armando Chang? «Molto. E non solo perché ho perso un amico. Armando era una persona autorevole, un personaggio chiave. Si deve al suo coraggio e alla sua intraprendenza, ad esempio, la nascita, nell’aprile 1992, dell’Associazione d’amicizia dei cinesi a Firenze per favorire la conoscenza e le relazioni, specialmente con le istituzioni. Ma c’è di più». Ovvero? «Armando aveva creato le condizioni per unire le realtà associative cinesi fiorentine, una tessitura che è andata avanti nel tempo. Basti pensare a quello che fece per arginare le pericolose derive che potevano seguire dopo gli scontri fra un gruppo di cittadini cinesi e le forze dell’ordine, avvenuti all’Osmannoro il 29 giugno 2016. Un gruppo di persone, malavitosi li chiamava lui, volevano organizzare una manifestazione nazionale, portando tante persone in strada. Lui riuscì a fermare tutto col dialogo. E ce la fece».
Trent’anni dopo a che punto siamo con l’integrazione? «Agli inizi del 2000, si crearono dei tavoli istituzionali con le comunità dove periodicamente si faceva il punto delle necessità, dei problemi. Poi tutto si è fermato. Oggi sono gli stessi rappresentanti della comunità cinese a dire che il processo si è fermato, si è richiusa quella porta che nell’emergenza era stata aperta anche grazie al contributo di Armando. Ci sono pochi momenti di incontro, e tutti esclusivamente per eventi folkloristici, non di riflessione. Noi siamo stati protagonisti di quella stagione, oggi serve una nuova volontà, e nuovi interpreti che riprendano quel cammino».
La Nazione 16-04-24