Don Giovanni Momigli

Nota pastorale: Gesti e Parole della fede

Una delle cause del dilagare, anche fra i praticanti più assidui, dell’impressionante e pericolosa ignoranza biblica e religiosa, forse va cercata in molta devozione animata dal solo sentimento, senza riferimento ai fondamenti della fede.

L’analfabetismo religioso, pur avendo radici antiche, denota un progressivo impoverimento culturale e produce preoccupanti conseguenze esistenziali e sociali, tanto che oggi è diventato una vera e propria emergenza, che esige una riflessione e un serio approfondimento sui gesti e le parole con cui esprimiamo e proclamiamo la nostra fede.

Sulla base delle espressioni e dei gesti della devozione osservati quotidianamente nella nostra chiesa di Santa Maria, mi pare necessario mettere a fuoco una serie di elementi che possono aiutare a vivere la nostra preghiera più in sintonia con la dottrina cattolica.

Con la presente nota iniziamo dagli atteggiamenti corpo, perché, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il bisogno di associare i sensi alla preghiera interiore risponde ad un’esigenza della natura umana. Siamo corpo e spirito, e quindi avvertiamo il bisogno di tradurre esteriormente i nostri sentimenti. Dobbiamo pregare con tutto il nostro essere per dare alla nostra supplica la maggiore forza possibile» (2702).

Nella preghiera comunitaria gli atteggiamenti sono richiesti dai momenti della celebrazione. Come si legge nelle norme del messale romano: «L’atteggiamento comune del corpo, da osservarsi da tutti i partecipanti, è segno dell’unità dei membri della comunità cristiana riuniti per la sacra Liturgia: manifesta infatti e favorisce l’intenzione e i sentimenti dell’animo di coloro che partecipano» (IGMR, 42).

Gli atteggiamenti che assumiamo nella preghiera personale, invece, sono mossi dal nostro sentire, anche se occorre tener conto dei contenuti essenziali della fede cattolica.

Stare in ginocchio, ad esempio, è la posizione migliore per adorare Cristo presente nel pane eucaristico conservato nel tabernacolo, per supplicare Dio e anche per pregare la Madonna e i Santi. Mettersi in ginocchio esprime umiltà e imita la preghiera di Gesù che, ad esempio, «si staccò da loro circa un tiro di sasso; e postosi in ginocchio pregava» (Lc 22,41) e la preghiera di Pietro, Paolo e gli apostoli.

Ci si genuflette, invece, davanti al tabernacolo dove Cristo è presente. Lo si fa entrando e uscendo di chiesa e ogni volta che passiamo davanti al tabernacolo. Si genuflette anche per fare una breve adorazione o passando davanti al Santissimo Sacramento esposto sull’altare per l’adorazione.

La genuflessione, che si fa piegando il ginocchio destro fino a terra, esprime adorazione nei confronti del Santissimo Sacramento e anche della Santa Croce, ma solo in chiesa dalla «solenne adorazione nell’Azione liturgica del Venerdì nella Passione del Signore fino all’inizio della Veglia pasquale» (IGMR, 274).

Non ci si genuflette davanti a quadri o statue della Madonna o dei Santi e neppure di Gesù, perché «L’onore tributato alle sacre immagini è una “venerazione rispettosa”, non un’adorazione che conviene solo a Dio» (Catechismo Chiesa Cattolica, 2132).

Se facciamo la genuflessione davanti a una statua si compie un atto di idolatria, dimostrando che il nostro sentimento e la sola buona fede non è detto che coincidano con la fede professata in ogni celebrazione.

Don Momigli

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