La gravissima tragedia avvenuta nel cantiere di Via Mariti -– di cui vanno rigorosamente accertate le responsabilità – ha scosso e coinvolto tutti, compreso il Papa e il Presidente della Repubblica. Insieme a incredulità, sconcerto e indignazione, tutti abbiamo ripetuto che non deve succedere mai più, come avevamo fatto anche in altre occasioni, come la morte di Luana D’Orazio.
In questa tragedia i temi della sicurezza nel lavoro si intrecciano con quelli della convivenza sociale e dell’immigrazione, dimostrando la necessità di un nuovo approccio alla gestione del fenomeno migratorio, per favorire un positivo inserimento degli immigrati sul territorio, evitando che siano considerati solo braccia da lavoro e preda di intollerabili sfruttamenti oppure assorbiti come manovalanza nelle dinamiche criminali.
Come ha detto il cardinale Betori, occorre «produrre decisioni adeguate da parte di chi è coinvolto nel garantire la sicurezza dei lavoratori, mentre come comunità cittadina siamo chiamati a non abbandonare le famiglie provate da questa sciagura».
Occorre certamente procedere a integrare quanto manca per completare alcuni aspetti del Testo Unico sulla sicurezza del 2008, come occorre realizzare un’efficace sinergia nei controlli e quant’altro ritenuto necessario. Ma non possiamo fermarci qui.
Se manca la responsabilità delle persone nell’organizzare il processo produttivo e nello svolgimento del lavoro, sappiamo bene che le norme e i controlli, pur essenziali, non bastano. Una maggiore etica professionale, ad esempio, può anche salvare delle vite.
Penso sia necessaria una profonda mobilitazione delle coscienze e una mobilitazione culturale diffusa, se vogliamo davvero creare un nuovo sentire e un nuovo pensiero, far crescere lo spessore etico e la responsabilità personale e collettiva di ciascuno di noi, orientare decisioni e azioni che mettono al centro la persona, la sua dignità e la sua sicurezza.