Un caro saluto a tutti.
Un personale e affettuoso pensiero ai parrocchiani, agli amici, alle persone che in questo mio lungo periodo di malattia, in vario modo, hanno manifestato la loro vicinanza.
Dopo 34 giorni di ospedale, di cui 9 in terapia intensiva, oggi, lunedì 29 agosto, memoria del Martirio di San Giovanni Battista, sono stato dimesso.
Ho completato il mio percorso ospedaliero in una struttura socio sanitaria cure intermedie, dove il 10 agosto, perché positivo al CoVid19, ero stato trasferito dall’ospedale Santo Stefano di Prato, per completare una terapia antibiotica, fattibile solo in ambito ospedaliero.
Dopo che il tampone effettuato il 15 agosto è risultato negativo, mi hanno trasferito in un reparto no CoVid, nell’ambito della stessa struttura, dove ci sono rimasto fino alle dimissioni di questa mattina.
Nei giorni che ho trascorso in ospedale molte persone si sono interessate alle mie condizioni di salute, mi sono state affettuosamente vicine, hanno pregato per me. Come sempre succede, però, le voci sulla malattia, che repentinamente mi ha colpito, si sono accavallate, avanzando le ipotesi più diverse.
Dopo l’aggravarsi di quella che sembrava una normale nevralgia, la mattina del 27 luglio sono stato ricoverato al pronto soccorso dell’ospedale di San Giovanni di Dio a Torregalli. Dalla Tac emergeva una condizione grave, un brutto e diffuso ascesso che esigeva un intervento urgente.
Essendo positivo al CoVid19, come da tampone effettuato il 25 luglio, per fare l’intervento era necessario un ospedale che avesse avuto posto in terapia intensiva CoVid.
Il pronto soccorso di Torregalli si metteva in moto e, nel tardo pomeriggio, mi veniva comunicata la disponibilità dell’ospedale Santo Stefano di Prato. E subito sono stato trasferito.
Al di là delle spiegazioni fornitemi a voce dai medici dell’ospedale di Prato per farmi capire, prima di entrare in sala operatoria, sostanzialmente questa era la diagnosi: “fascite nacrotizzante, un ascesso peritonsillare e altre dispnee e anomalie respiratorie”.
L’intervento, nella notte del 28 luglio, ha essenzialmente comportato la “dissezione radicale del collo, bilaterale”; “incisione e drenaggio di strutture tonsillari e peritonsillari”; “tracheostomia temporanea”.
Per il momento non sono in condizioni di poter rientrare in parrocchia, perché ho ancora bisogno di terapie e controlli in ospedale.
Pertanto, sono temporaneamente a Lastra a Signa da una mia sorella.
Con le dimissioni dall’ospedale e il rientro in famiglia si apre un nuovo capitolo di questa particolare avventura e della mia storia personale.
Una storia, ne sono certo, che non sarebbe stato possibile vivere senza l’affettuosa vicinanza di tante persone e la preghiera di chi mi ha accompagnato durante il mio percorso ospedaliero.
Non mi sono mai sentito solo e abbandonato.
Questa esperienza mi ha fatto capire, sperimentandolo con evidente chiarezza, che cosa concretamente significa essere sorretto dal calore dell’affetto, da una concreta e variegata rete di relazioni, dalla corale preghiera di molti.
La partecipazione, ampia e differenziata, a questa mia vicenda sanitaria, mi ha commosso e mi commuove.
Posso davvero dire che sono stati l’affetto e la preghiera di tante persone a sostenermi e permettermi di affrontare i nove giorni di terapia intensiva, dove ho praticamente vissuto in simbiosi col mio letto, e tutti i giorni successivi, senza le ansie che normalmente mi assalgono, ma con una serenità tutta particolare e per me nuova. Quasi da non riconoscermi.
A tutti e a ciascuno un grande grazie e un caro abbraccio!
Un grazie particolare ai chirurghi di otorinolaringoiatria che mi hanno operato, all’equipe di sala e a tutto il personale medico e infermieristico dell’ospedale di Prato e a quello della struttura socio sanitaria La Melagrana di Prato. A iniziare dai chirurghi, praticamente tutti mi hanno seguito con grande professionalità, attenzione, sensibilità e grande umanità.
A tutti assicuro la mia povera preghiera. Su tutti e su ciascuno invoco la benedizione del Signore.
Con affetto,
Don Giovanni
Diario della malattia
Il 1 febbraio 2024 ho insertito la seguente riflessione a suo tempo inviata solo alle persone più intime:
Quello che ho interiormente vissuto quando ho ripreso una qualche consapevolezza, dopo il rientro della sala operatoria, è rimasto scolpito nella mia mente e nel mio cuore. È in me vivo e presente, come lo stessi vivendo adesso.
Per qualche frazione di secondo, o per un tempo che non saprei determinare, ho avuto la sensazione di avere di fronte un piccolo spazio oscuro. Ho pensato che fosse arrivato il mio momento e che avrei dovuto lasciarmi andare nelle mani di Dio, senza fare resistenza.
È a questo punto che prendo coscienza di quanto certe esperienze mi abbiano segnato profondamente, perché mi è subito venuto alla mente che, con la mia morte, sarebbe stata resa pubblica (perché così ho predisposto) la mia ‘memoria’ sull’ultima fase della mia esperienza a San Donnino.
Immediatamente, però, al mio sguardo interiore si è aperto uno spazio immenso, come se fossi chiamato a guardare oltre, e a lottare, per una nuova esperienza di vita.
Un nuovo sentimento sovrasta e travolge il precedente. Ho sentito, bruciante, come il pensiero della morte, in quel momento, fosse dato da un mio egoistico desiderio e non dalla volontà di Dio.
Se il Signore avesse voluto la mia morte, i medici non mi avrebbero operato in tempo per salvarmi e, comunque, l’esito sarebbe stato diverso.
E ho sentito come una chiamata a percorrere la strada che il Signore in quel preciso momento mi chiedeva di fare.
Allora ho alzato il mio sguardo interiore e mi sono lasciato trasportare in quello spazio infinito e luminoso che avevo davanti con animo sereno, senza nessuna sensazione d’ansia.
Ho sentito che il Signore Gesù stava dando sostanza al mio desiderio di sempre: affidarmi a lui. Non ci sono mai riuscito, mentre ora, quest’affidamento, mi pareva così naturale.
E, con meraviglia, mi sono chiesto: sono io questo?
Mentre mi ponevo questa domanda, ho sentito di non essere solo. Ho sentito che il Signore Gesù mi accompagnava e mi sosteneva. E ho sentito il calore di tanta umana amicizia e l’abbraccio dalla preghiera di molti.
E ho capito, sperimentandolo, che cosa significa essere inseriti in una concreta rete di relazioni e sorretti dal calore dell’affetto e dalla corale preghiera di molte persone.
Ed è con questo sentire, tutto nuovo, che ho aperto gli occhi, ho riconosciuto la sala della terapia intensiva nella quale, al mio arrivo all’ospedale di Prato, mi avevano preparato all’operazione, e ho iniziato questa nuova avventura.
Col passare dei giorni ho saputo che molte persone si sono strette attorno a me e che tante hanno pregato per me, confermando quello che nel mio intimo avevo sentito.
Oggi, 31 agosto 2022, posso davvero dire che senza questa plurale e variegata compagnia – divina e umana, di credenti e non credenti – non avrei potuto affrontare la fatica dei nove giorni di terapia intensiva, dove praticamente si vive in simbiosi col proprio letto, e quella dei giorni successivi, compresi quelli presenti, con una serenità e una forza a me sconosciute.