Don Giovanni Momigli

«Abbiamo perso ogni rete sociale». La Nazione 15 novembre 2024

La Nazione, 15 novembre 2024, pagina 15

Le morti banche in Toscana Cronaca di un’escalation. Abbiamo perso ogni rete sociale. E il precariato vale per tutte le età

Don Momigli della pastorale del lavoro della diocesi di Firenze: «Si arriva tardi a impieghi stabili» Le persone sono sempre pià sole ad affrontare le difficoltà. E si resta disoccupati a 40-50 anni.

«Abbiamo perso ogni rete so ciale, ecco perché sempre più anziani restano al lavoro». Don Giovanni Momigli è il sacerdote delegato per la pastorale del la­ voro della diocesi di Firenze. Pri­ma di entrare in seminario è stato il segretario provinciale degli edili per la Cisl. Ha fatto del lavo­ ro e della tutela del lavoro una missione terrena e spirituale al­ lo stesso tempo.

Don Giovanni, ci si Interroga sulla tragica morte di un lavo­ ratore 69enne in una cartiera a Lucca…

Intanto mi permetta di esprimere la vicinanza ai familiari di que­st’uomo, ennesima caduto in Toscana di questa guerra che so­ no gli incidenti sul lavoro. Di lavoro non si dovrebbe mai morire. E ogni parola che spendiamo sulla necessità da partedegli imprenditori di investire sulla sicu­rezza e sulla sensibilizzazione verso l’uso dei dispositivi da parte di chi lavora, è ben spesa. Tuttavia in questi tempi di crisi economica è forte anche un tema sociale».

Sempre più persone continua­ no a lavorare pur essendo avanti negli anni. Quali sono le cause?

«Si arriva a un impiego stabile sempre più tardi, l’età pensionabile si allunga perché non ci so­no i requisiti per andare in pensione. Oppure ci sono situazioni limite, in cui quello dell’anziano al lavoro è l’unico reddito che tiene in piedi una famiglia. Mi è capitato di incontrare persone anziane, costrette a fare lavori anche pesanti, usuranti, perché dovevano portare il pane a casa, oppure perché la pensione minima non garantiva loro nean­che la sopravvivenza. Ma quali che siano le cause, c’è una tendenza che le determina tutte». Ovvero?

«Oggi a livello culturale il lavoro in quanto tale è declassificato. Si valorizzano altri elementi, an­ che da parte degli stessi imprenditori. li lavoro manuale poi è to­ talmente sottovalutato. Questo comporta una minore attenzio­ ne alle problematiche connesse, non solo della sicurezza. Ba­sta pensare al precariato stri­ sciante che esiste in ogni com­ parto, al lavoro atipico, a quanti si trovano senza un impiego a 45-50 anni per crisi aziendale e ricominciano dopo qualche anno».

Cosa può fare la società, cosa le istituzioni?

«Intanto cominciare ad analizza­ re le situazioni legandole ai con­ testi. E poi ricostruire una rete sociale. Oggi le persone si trovano sempre più spesso da sole ad affrontare le difficoltà, senza un’analisi da parte delle istituzioni che determini soluzioni, sen­za un riferimento sociale. Il benessere delle persone, il loro inserimento e la capacità lavorativa sono molto legati a come co­struiamo la società civile».

Fabrizio Morviducci

 

LA NAZIONE 15 Novembre 2024

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